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  • Cinghiali e caccia, Franzetti: «La teoria della matriarca non ha alcun fondamento scientifico»

    «Non esistono, attualmente, studi scientifici in grado di dimostrare la teoria della “matriarca“, cioè quella in base alla quale la femmina adulta di un branco di cinghiali riesce a regolare l’estro e dunque la riproduzione delle altre femmine». Lo ha dichiarato la Barbara Franzetti, ricercatrice di Ispra specializzata sul cinghiale, nell’ambito del Congresso Nazionale delle Carni di Selvaggina, che ha preso il via oggi con una prima sessione a tema “Carni di selvaggina: sicurezza alimentare e salute umana”. Il congresso è stato organizzato grazie alla collaborazione tra Società Italiana di Ecopatologia della Fauna (S.I.E.F.) e Associazione Italiana Veterinari Igienisti (A.I.V.I.) e con il supporto dell’Associazione per lo sviluppo della cultura, degli Studi Universitari e della ricerca nel Verbano Cusio Ossola (ARS.UNI.VCO) e di Fondazione Onlus Uomo-Natura-Ambiente (Fondazione U.N.A.).

    Prendendo la parola nel corso del panel, la ricercatrice dell’Ispra Barbara Franzetti ha smontato così la tesi sostenuta dagli animalisti in base alla quale la caccia sarebbe addirittura la causa dell’aumento delle popolazioni di cinghiali. I detrattori della caccia, in sintesi, sostengono la teoria della “matriarca”, così riassumibile: senza l’intervento dell’uomo solo la femmina più adulta si riproduce perché riesce a inibire, mediante la produzione di feromoni, l’estro delle altre femmine; se la matriarca viene abbattuta dai cacciatori, cosa che avviene spesso in ragione delle maggiori dimensioni, allora tutte le altre femmine sono in qualche modo lasciate libere di riprodursi e questo, in ultima analisi, farebbe aumentare esponenzialmente la popolazione di cinghiali. Una teoria utilizzata appunto contro la caccia e i cacciatori, in particolare contro la braccata, che però secondo la dottoressa Franzetti dell’Ispra non avrebbe alcuna evidenza scientifica.

    «I cinghiali, esattamente come i topi, tendono a riprodursi massimizzando le possibilità di far nascere piccoli, in ragione della disponibilità di cibo. – ha precisato la ricercatrice, considerata una esperta nel settore – Quindi non solo la cosiddetta matriarca, ma tutte le femmine in età fertile si accoppiano e anche con più maschi, proprio al fine di massimizzare le possibilità di riprodursi. Vero è che un prelievo venatorio mal strutturato modifica il comportamento riproduttivo della specie cinghiale, ma più che altro effettuando abbattimenti di maschi».

    Francesco Bottone

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