• Editoriale
  • Cosa fare della Provincia di Isernia che compie 52 anni

    Non avremmo mai immaginato, anche solo tre anni fa, di arrivare alla celebrazione del cinquantaduesimo anniversario della Provincia di Isernia nella situazione eccezionale che stiamo vivendo: con una pandemia planetaria e con il rischio sempre più reale di un conflitto mondiale.

    Sembra non essere il caso, dunque, nella giornata di oggi, di parlare del ricordo dei tempi e dei fatti che portarono all’istituzione dell’ente e di celebrarne l’anniversario.

    Eppure, prima di arrivare alla dimensione planetaria della ormai conosciutissima “globalizzazione”, prima di considerare la politica europea – quella che ci ha consentito di avere circa ottant’anni di pace -, prima ancora di considerare l’importanza delle decisioni di Draghi e delle incapacità della politica nazionale di avere un governo che sia emanazione “più” diretta del Parlamento o di eleggere un presidente della Repubblica disponibile senza sforzi a rivestire tale importantissima carica, prima di tutto ciò c’è il microcosmo dei piccoli territori, c’è la cellula minima di cui tutto il tessuto si compone.

    La stessa Unione Europea ha il suo senso più profondo nella sintesi di una “unione delle diversità”. Sono proprio quelle diversità, infatti, quelle piccole peculiarità, a costituire la ricchezza del continente e, conseguentemente, del pianeta.

    Ma cosa c’entra la nostra piccola realtà con la pandemia che stiamo vivendo da più di due anni e con la guerra che ci spaventa da qualche settimana?

    Be’, la pandemia ha messo subito in evidenza la fragilità del nostro sistema sanitario: non siamo stati capaci di reagire alla forza d’urto di un problema imprevisto. E che la pandemia potesse essere una sorpresa per qualsiasi operatore sanitario, anche il più avveduto, è una cosa certa. Tuttavia, proprio le piccole dimensioni del nostro territorio avrebbero potuto permettere una gestione dell’emergenza molto più agile ed efficace. Lo strumento della Provincia, che non è direttamente coinvolto nel campo sanitario, avrebbe potuto essere utilizzato nel chiedere, proporre, sostenere, accompagnare, protestare… per avere di più in termini di servizi per i cittadini del territorio. E non mi riferisco alla situazione contingente e contemporanea ma, almeno, agli ultimi venticinque anni.

    Sull’altro versante, l’Ucraina sembra lontana da noi, certo, ma l’esistenza di una rete così interconnessa di realtà locali fa sì che anche noi, così distanti dal teatro di guerra, subiremo e già subiamo le conseguenze economiche di quanto sta accedendo. E ciò è già tanto grave. Se a questo aggiungiamo il senso di colpa nel sentirci protagonisti di un nuovo secolo che avrebbe dovuto essere di pace e che, invece, mostra in maniera evidente il nostro fallimento, tutto diventa gravissimo, inaspettatamente catastrofico per le nostre coscienze.

    I piccoli territori potrebbero essere – e la Provincia di Isernia avrebbe potuto esserlo più di altri proprio per le sue dimensioni – un modello di riferimento per la gestione efficace del servizio sanitario, anche e soprattutto di quello domiciliare, e la fonte di proposte concrete e realizzabili per la produzione di energia pulita e per progettare, e forse realizzare, una indipendenza energetica da chi fa della mancanza di rispetto della vita umana la base della propria visione politica.

    Nel giorno della celebrazione dell’istituzione della Provincia di Isernia, lo sconforto per non essere stati capaci di utilizzare efficacemente uno strumento così importante, uno strumento ottenuto a fatica e con tante battaglie di popolo, il fatto di non aver trovato le modalità giuste per usarlo a nostro vantaggio, e a vantaggio della politica regionale, nazionale e continentale, non deve scoraggiarci.

    La politica, nel senso più nobile della sua essenza, è ancora l’unico modo per cambiare il mondo e per dare libertà e benessere alle donne e agli uomini. La Provincia di Isernia potrebbe ancora essere qualcosa di importante per dare valore alle specificità del territorio e per mettere in atto un laboratorio avanzato di idee e progetti che produrrebbero lo sviluppo tanto atteso della nostra zona e servirebbero come attività esemplari, sperimentazioni utilissime per l’affermazione di un’economia solidale, sostenibile, democratica che è l’unica possibilità di salvezza per l’umanità del terzo millennio.

    Questo è l’augurio che, in questo giorno, faccio alla mia terra.

    Enrico Santoro

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