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  • Dall’Abruzzo la nuova transumanza: milioni di api scendono verso Sud tra ciliegi e agrumeti

    (di Luca Prosperi) (ANSA) – TORNARECCIO (CHIETI), 11 APR – “Aprile. Andiamo, è tempo di migrare”. L’anima antica e pastorale dell’Abruzzo cantata da D’Annunzio si rinnova e regala una nuova transumanza: milioni di api, migliaia di alveari che salgono sui camion per scendere a valle dalle montagne, come le pecore, e raggiungere il caldo, i fiori, il sud. Le primizie. In questi giorni sono decine e decine gli apicoltori abruzzesi che danno vita alla transumanza pasquale verso la Puglia, la Basilicata, verso gli agrumeti, le piantagioni di ciliegi, verso il paradiso delle impollinazioni, così ricercate dagli stessi agricoltori. Un nomadismo da dna, come racconta un apicoltore multipremiato di Tornareccio, Luca Finocchio, avanguardia con i suoi colleghi abruzzesi di questa misconosciuta migrazione: e si tratta di numeri imponenti. Il 15% del miele italiano, quello di qualità, non quello ad uso industriale, viene dall’Abruzzo. «Ora sono a Putignano (Bari) in mezzo ai ciliegi. – racconta l’apicoltore – A Tornareccio ci sono 32 aziende, tra grandi e piccole. Ci sono generazioni di apicoltori super esperti. Io da solo ho trasportato 1300 arnie per 60 milioni di api: dico sempre che viaggio con lo stesso numero di abitanti italiani. Moltiplicate per tutte le aziende abruzzesi che viaggiano in questi giorni e troverete miliardi di api. La stagione non è partita benissimo: caldo a febbraio, forte escursione termica tra giorno e notte adesso, non c’è nettare. insomma, ci condiziona di più il clima del coronavirus. La siccità ha prodotto pochi fiori ovunque, c’è rischio di un calo di produzione, che penalizza noi abruzzesi che notoriamente facciamo un prodotto di alta qualità. L’inquinamento? Si è abbassato e va bene per tutto, ma per noi influisce poco, a noi da più fastidio il pesticida o gli ogm». Il coronavirus insomma influisce solo in termini commerciali, e la ripartenza, la fase 2, è un cima ai pensieri degli apicoltori: «Molti di noi hanno anche aziende didattiche, io stesso ho dovuto rinunciare a 2500 studenti che sarebbero venuti in visita tra le mie api. Ora abbiamo persino difficoltà a trovar stanze negli alberghi che sono tutti chiusi – prosegue Finocchio – c’è un calo di vendite, ma ci stiamo attrezzando: l’e-commerce che per noi era un estraneo ci stando invece qualche stimolo in più. Ma quello che ci preme dire è che se veramente vogliamo far ripartire il paese bisogna che gli italiani in questa fase comprino prodotti di prossimità, italiani, evitino di premiare prodotti o miele importato dalla Cina, Argentina, Bulgaria ecc. Manca il prodotto per l’industria ma non per la tavola di qualità, ma di una cosa sono sicuro: questa crisi ci darà degli stimoli nuovi anche per le nostre aziende, ci darà creatività, fantasia. Non solo a me che ho vinto premi con il miele al tartufo».

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