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  • Daniele Labbate, la spalla dei big

    Circondato dalle note in una famiglia di musicisti. Gli spartiti la sua carta di identità e le chiavi di violino le sue iniziali. Ha lavorato sodo e sudato tanto finché ce l’ha fatta e la musica, suo primissimo amore, è diventata la sua carriera. Daniele Labbate, agnonese doc e figlio del grande Tony,  ha solo trent’anni e già si è fatto strada nello scenario europeo  dove ormai è un bassista apprezzato dal pubblico. Grazie al suo lavoro di sessionman (turnista per i non poliglotti, ndr), Daniele è riuscito a collaborare con artisti di fama internazionale. Sul suo curriculum possiamo leggere nomi come quello di Ben Saunders, Jan Akkerman, Kane, Richard Smith, Mad Professor e Tony Spinner dei Toto. Infine, tanto per arricchire ancor di più la sua già vasta esperienza, una delle sue band, gli Orange Grove, ha avuto il piacere di lavorare con Bob Sinclar musicista dance internazionale, per il remix del loro pezzo ‘Ready for it’.

    Per tua stessa ammissione non sei nuovo alle grandi folle. Sei abituato al grande pubblico e, nel tempo, hai preso confidenza anche con il mondo dei big. Il remix di Ready for it, però, ti porta nel mondo della musica commerciale. Questo significa che anche in Italia i tuoi amici potrebbero sentire in radio una delle tue canzoni. Come ti fa sentire questo?

    «Naturalmente sono felice che il pezzo sia stato lanciato in quasi tutte le nazioni, Italia inclusa. Mi fa piacere che chi mi conosce possa ascoltarci, a prescindere che il pezzo sia di gradimento o no».

    Come si diceva prima, questo tuo risultato è solo l’ultimo di una lunga fila tuttavia, non hai avuto sempre la strada in discesa ed hai studiato prima di arrivare sulla cresta dell’onda. Ci si chiede: si può diventare bravi musicisti dietro ad un banco di scuola?

    «Ho lavorato tanto e sudo tutt’ora, se non più di prima, per ottenere i risultati che mi prefiggo. Non mi siedo mai sui buoni risultati. Il piacere sta nell’andare avanti, trovare cose nuove e superarle! Per quanto riguarda la formazione, posso dirti che secondo me si impara suonando. La musica la si studia per capirla o per scoprire qualcosa di nuovo. Tuttavia, bisognerebbe stare attenti a non farsi travolgere dalle nozioni apprese perché così si rischia di non apprezzare le cose semplici della musica. Credo che dovremmo usare ciò che impariamo in modo naturale, un po’ naive».

    Hai studiato a Roma e poi ti sei trasferito in Olanda. Come mai questa scelta? Fare carriera qui, nel vecchio stivale, è così utopico?

    «In realtà, devo ammettere che non c’è nessuna ragione in particolare. Non credo possa esistere una ‘nazione dei musicisti’. Purtroppo, lavorare con la musica significa condurre una vita dura ovunque. Decisi di andare via solo perché avevo voglia di farlo e niente esclude che in futuro possa trasferirmi ancora».

    Ciò che fai tutti giorni è quello che gli altri definirebbero ‘una vita da sogno’. Molti sono i ragazzi e le ragazze che vorrebbero affacciarsi sul panorama musicale italiano ed internazionale. Tu cosa sentiresti di consigliare ai giovani che desiderano iniziarsi al magico mondo della musica?

    «Che tutto dipende da loro, che devono sviluppare un’ “identita’ musicale” e che non esistono scorciatoie nella musica, quindi rimboccarsi le maniche e spingersi oltre il limite per riuscire a tenersi a galla in questo mestiere che e’ uno stile di vita che si regge su degli equilibri molto delicati e che si muove spinto da correnti capaci di cambiamenti rempentini e drastici».

    Invece, se potessi tornare indietro, cosa consiglieresti a te stesso?

    «Non si torna indietro».

    Giovanni Giaccio

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