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  • Emergenza cinghiali: il Quirinale li vende, facciamolo anche nell’Alto Vastese

    E se l’Alto Vastese, magari qualche Comune o dei privati o la stessa Provincia, si mettesse a fare concorrenza al presidente Napolitano?

    In cosa? Certo non nel propalare agli italiani, a reti unificate, inutili sermoni infarciti di ovvietà e di retorica, ma nella vendita dei cinghiali. Proprio così.

    L’Alto Vastese pullula di cinghiali, ne è praticamente infestato, perché l’inutile Provincia di Chieti non si degna di applicare il famoso piano di prelievi mediante selecontrollo, nonostante la recente nomina di un assessore, Franco Moroni, delegato alla  applicazione di quel documento. Ma cosa c’entra Napolitano? Lui c’entra sempre.

    Dunque, la selvaggina è patrimonio indisponibile dello Stato e lo Stato, così pare, vende i cinghiali della tenuta di Castelporziano per fare cassa.

    La notizia è davvero curiosa, ma è quanto si apprende dalle colonne dell’Espresso.

    Scrive la blasonata testata:

    Il Quirinale modello fattoria ha i conti in rosso. Per gestire la tenuta presidenziale di Castelporziano, splendido habitat mediterraneo riconosciuto sito di importanza comunitaria e zona a protezione speciale, si spendono ogni anno 1,5 milioni di euro. I ricavi non superano gli 800 mila euro, e l’obiettivo si raggiunge con il contributo annuale del Ministero dell’Ambiente: 500 mila euro l’anno. Spulciando il bilancio della tenuta, inserito nei conti della presidenza della Repubblica, si scoprono alcune voci assai curiose.

    Nell’attivo del bilancio risultano per esempio proventi per attività di zootecnia e per la vendita di animali selvatici. Di che si tratta? Parte dei cinghiali della riserva sono stati venduti a un agriturismo venatorio dell’Abruzzo specializzato in «degustazioni e trasformazioni».

    In pratica, il destino di quei cinghiali presidenziali è diventare salsicce e salami. Non c’era alternativa, secondo quanto spiega il Quirinale, perché quei «cinghiali vivi avrebbero determinato danni alla flora e alla fauna». Sempre per «evitare danni all’ecosistema», poi, anche una quota dei bovini allevati nella tenuta finisce a fettine. In parte vengono venduti a una società di macellazione, creando un reddito di poco maggiore ai 40 mila euro annui, e in parte finiscono in beneficenza per le mense dei poveri.

    Quindi è proprio così: la presidenza della repubblica vende i cinghiali, bene indisponibile dello Stato, per fare cassa. Se lo fa il Quirinale potrebbe farlo anche un Comune dell’Alto Vastese ad esempio o la Provincia di Chieti. Magari dotandosi di una riserva comunale o provinciale, simile a quella di Castelporziano che fu dei Papi e dei re d’Italia prima di essere avocata, cioè rubata alla Corona, dalla repubblica.  Con l’unica differenza che per il Quirinale intascare 40mila è praticamente irrilevante, visti gli sprechi di cui è capace il palazzo, mentre per un qualsiasi Comune dell’entroterra montano quella cifra rappresenterebbe una boccata d’ossigeno, potrebbe essere impiegata per assicurare un utile servizio ai cittadini.

     

    I selecontrollori potrebbero effettuare i prelievi per poi cedere le carni ai Comuni o alla Provincia che a loro volta potrebbero venderle e fare cassa. Con il duplice effetto di limitare il numero di cinghiali sul territorio, ristrutturando la popolazione di ungulati, e di consentire ai Municipi di intascare qualche soldo da spendere magari in viabilità e servizi al cittadino.

    Una sciocchezza o una cosa fattibile? Se lo fanno a Roma si può fare anche qui in Alto Vastese, o no? Parola agli esperti.

    Francesco Bottone

    effebottone@gmail.com

     

     

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