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  • Un inviato dell’Eco al Festival del giornalismo di Perugia

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    PERUGIA –  Nel piazzale antistante all’Hotel Brufani già da lunedì 28 aprile troneggia un gazebo marchiato, per così dire, Rai News 24. L’albergo è strapieno e un fiume di persone defluisce verso la grande ‘Sala Raffaello’ dove sta per essere inaugurata l’ottava edizione del Festival Internazionale del giornalismo.

    Tocca avvertire il lettore: questa volta non sarà possibile scrivere un articolo in terza persona, come chiede il manuale. Infatti, da ora passo alla prima persona. Mi sentirei un ipocrita se tentassi di ingannare i lettori, facendo loro credere che questa vuole essere una semplice cronaca. Con questo articolo, infatti, vorrei provare a descrivere la macchina dell’Ijf14 vista dall’interno.

    Sono stato un volontario del Festival. Mi sono occupato di seguire alcuni eventi e di redigere i comunicati stampa da rendere fruibili sul sito per i giornali di tutto il mondo. Dunque, di fatto, ho preso parte al festival sia come visitatore che come membro dello staff.

    giaccio pg

    Qualcuno, mi aveva detto: «In tutta la mia carriera, non ho visto niente di più bello»! Io, che una carriera ancora non ce l’ho,  non posso usare una frase così importante tuttavia posso permettermi di concordare aggiungendo che non ho mai visto così tante menti riunite in una stessa città. È quasi impossibile trovare concentrati così tanti professionisti in un solo luogo. Altamente improbabile riuscire a scambiare con loro due parole nella vita reale.

    Ancora. Non mi è mai capitato di assistere ad un convegno insieme ad un numero così cospicuo di miei coetanei. In particolar modo se si considera che la platea twittava solo per condividere con il mondo le citazioni degli speaker. Vere e proprie perle di saggezza. Infine, non mi crederete ma erano gli speaker stessi (quelle grandi menti del giornalismo e della comunicazione mondiale) a diventare uditori quando avevano qualche minuto libero.

    Uno spettacolo di umiltà. Così lo definirei. Perugia, nei giorni scorsi, è diventata una piazza in cui discutere di giornalismo con professionisti e aspiranti tali. A proposito di questo, perciò, vorrei sfatare un mito, portando alla luce i fatti: non è vero che noi giovani siamo svogliati o che non siamo in grado di lavorare. Forse, siamo solo frustrati e delusi da un futuro a base di precarietà e lavoretti di ripiego.

    Ho incontrato centinaia di ragazzi. Ci ho collaborato, ho letto i loro comunicati, li ho visti scrivere sulla sedia a fianco alla mia, in sala stampa. Li ho ammirati mentre tenevano sotto stretto controllo una fila di cento persone in attesa di entrare al prossimo evento.

    Naturalmente, nessuno di noi procedeva a briglia sciolta. Eravamo capitanati da responsabili dello staff. Ora, immaginate di dover essere lo staff di un festival che sta coinvolgendo qualcosa come sessantamila visitatori. Chi non impazzirebbe? Chi non sbraiterebbe contro tutti?

    Semplice. Il team de ‘Il filo di Arianna’ (associazione organizzatrice, ndr). In cinque giorni, tranne qualche rara eccezione, non ho mai visto lo staff perdere il controllo. Li ho visti rispondere alla mail, fornire indicazioni in caso di necessità e basta. Questa si chiama professionalità.

    Non voglio dire che il Festival sia un luogo magico dove si apprende, si fa esperienza, amicizia e dove tutto funziona magicamente. Qualche problema ci sarà stato, è normale. E si, lo ammetto, qualcuno ha urlato un paio di volte. Ad ogni modo, credetemi: per un giovane che, come me, cerca di costruirsi un futuro in un’editoria che soffoca, il Festival del giornalismo è un’esperienza che vale più di qualsiasi ora in facoltà.

    Giovanni Giaccio

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