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  • «La braccata è la causa dell’emergenza cinghiali, non la soluzione»

    LANCIANO – «La prima domanda che mi porrei è se esiste un problema legato alla proliferazione dei cinghiali e la risposta non può che essere positiva: certo esiste, anche se non nei termini in cui viene accreditato per interessi che nulla hanno a che fare con i temi della sicurezza e della tutela dell’agricoltura. Gli interessi sono quelli dei cacciatori, che desiderano avere sempre più animali da abbattere, e dei politici, assetati di voti e, si sa, i cacciatori votano mentre i cinghiali no. Il tutto condito da massicce dosi di malafede e di disinformazione. Insomma, una miscela esplosiva che ci porterà tra qualche anno ad avere i cinghiali nel salotto di casa. La dimostrazione tangibile di quel che dico è data dalla recente riunione dei sindaci del Chietino con l’assessore regionale Dino Pepe, il quale si è inchinato alle richieste di estensione della caccia in braccata, senza avere tutti costoro alcuna cognizione di cosa si stesse parlando».

    Inizia così, con precise e circostanziate accuse indirizzate ad altrettanto chiari bersagli, la chiacchierata-intervista con l’avvocato e fotografo naturalista Dario Rapino, noto tra le altre cose per aver denunciato, con tanto di fotogrammi della sua fototrappola, alcuni bracconieri in azione all’interno della riserva regionale di Rosello. 

    Avvocato, lei che non le manda a dire, ci spieghi: perché la braccata come mezzo di controllo di controllo dei cinghiali sarebbe inefficace?

    «La caccia non è la soluzione del problema, perché è parte del problema stesso. Affidare ai cacciatori il controllo dei cinghiali equivale a mettere benzina in mano ad un piromane. La questione cinghiali non può essere affrontata istericamente con gli strumenti della caccia alle streghe, ma con quelli della conoscenza e della sapienza. E bisogna anzitutto partire da un’analisi attenta delle sue radici: i ricercatori hanno dimostrato come negli ultimi decenni in tutta Europa la popolazione di cinghiale sia cresciuta in termini esponenziali, nonostante la forte pressione venatoria esercitata e le diverse metodiche di caccia messe in atto. I motivi di questa crescita esponenziale sono da ricercare in fattori biologici, legati all’elevato tasso riproduttivo della specie, al basso tasso numerico di predatori specializzati, al rimboschimento di territori, a inverni miti, ma anche a fattori di origine antropica, come ad esempio l’alimentazione supplementare, la re-introduzione illegale della specie a scopi venatori nonché la stessa attività venatoria».

    Cioè, ci faccia capire questo apparente paradosso: sparando, eliminando cinghiali, si ottiene il risultato opposto, il loro aumento esponenziale?

    «Certo, la caccia in braccata è causa del problema e non la soluzione: come ben sa ogni cacciatore, con questa metodica si favorisce la dispersione del branco, con la conseguente formazione di altri branchi dove ciascuna femmina andrà in estro, partorendo decine di altri cinghiali. Cioè mentre prima nel branco si riproduceva la sola matriarca, ora avremo tante matriarche in più. Dove c’erano dieci cinghiali ce ne saranno cinquanta.
    Proprio perché il problema è serio occorre un approccio altrettanto serio: gli strepiti e le ricette all’amatriciana non servono a nessuno. Voglio peraltro sottolineare come a questi sindaci già il Prefetto di Chieti ebbe a tirare le orecchie, visto che comunque non vi è alcuna emergenza al riguardo».

    Una tesi, la sua, supportata da studi scientifici e sostenuta da tempo anche dal funzionario della Regione Abruzzo, Franco Recchia, il quale però ha sottolineato anche come il problema sia rappresentato dall’«effetto spugna» che si ha nelle aree protette, riserve e parchi. (Leggi qui). Inoltre, che l’emergenza cinghiali non ci sia ci pare una affermazione dissociata dalla realtà: la conta dei danni all’agricoltura e i continui incidenti stradali dicono l’esatto contrario.

    Comunque, se la braccata non è una soluzione percorribile, come bisogna procedere? Lei, che pare ne sappia più degli altri, cosa propone contro il proliferare dei cinghiali?

    «Le soluzioni? Sono tante ed a carattere sinergico, già sperimentate con eccellenti risultati, come ad esempio la protezione delle colture di pregio con recinti elettrici, i mangimi sterilizzanti, la messa in sicurezza delle strade con dissuasori ottici e quant’altro, il tutto con costi ridicoli. E in merito alla questione incidenti da fauna selvatica, la giurisprudenza dimostra che la gran parte di questi sono causati dal mancato rispetto delle regole di comune prudenza, ad esempio eccessiva velocità, ossia l’animale è occasione del sinistro e non la causa. Il che vuol dire niente risarcimento per i danni patiti. Ascoltare chi della materia sa qualcosa sarebbe il primo importante passo avanti».

    E il selecontrollo invece? Potrebbe funzionare a suo avviso, visto che negli ultimi quattro mesi, secondo i dati forniti dall’assessore Pepe, sono stati abbattuti oltre duemila e seicento cinghiali?

    «In via di principio non sono contrario al selecontrollo, purché inserito in un contesto più ampio di contrasto alla proliferazione incontrollata ed in presenza di situazioni oggettive e verificate di tutela della pubblica incolumità o per esigenze sanitarie. Il che però non avviene nel presente».

    Francesco Bottone

    effebottone@gmail.com

    tel: 3282757011

     

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