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  • L’intervista/Rivoluzionario e liberale, quel genio incompreso di Enzo Delli Quadri

    di Italo Marinelli

    Enzo Delli Quadri, non posso iniziare questa conversazione che ricordando la figura di tuo padre Vittorio. Ho avuto la fortuna di averlo come maestro elementare e ne conservo un ricordo indelebile. Un autentico innovatore dai metodi pedagogici avanzati – il giornalino di classe, gli esperimenti scientifici, il traforo e le attività manuali – ed una persona di grande umanità. 

    «Se penso alla figura di mio padre, in questi tempi in cui si abusa della parola ‘fascista’, provo un moto di stizza. Mio padre era un fascista, è vero, ma non ho conosciuto una persona più leale, generosa e democratica di lui. Lo attestano centinaia di alunni che ha educato ai valori fondamentali della vita quali la libertà di pensiero, di azione, di espressione. Ricordo la sua passione per il Risorgimento, per la figura di Garibaldi. Era una persona di ampie vedute che, dopo le leggi razziali ha ripudiato la dittatura ma mai i valori fondamentali di patria, famiglia e Dio». 

    Di tua madre ricordo la figura volitiva. Mi stupiva il fatto che il mio maestro, che io vedevo come un mito, ne subisse, a volte, i rimproveri dovuti a questa o quella faccenda o commissione familiare. 

    «Mia madre veniva da una vasta famiglia di commercianti, i ‘Briilucc’. Aveva otto fratelli e tre sorelle, per cui io ho ben 40 cugini. Conosceva il valore del denaro e rappresentava la parte pratica della famiglia. Una volta mio padre acquistò un pianoforte ad un’asta derivante da un matrimonio andato in frantumi, un divorzio, cosa che allora faceva ancora scandalo. Impegnò tutto uno stipendio e, quando portò il pianoforte a casa la reazione di mia madre fu: Nn tnem ch c magnia». 

    I tuoi studi? 

    «Tutte le scuole superiori in Agnone, che allora viveva un’epoca felice, non ancora era nata la Provincia. Era una città di 11.000 abitanti, estremamente affollata. La cosa più bella fu che la mia classe del Liceo Scientifico iniziò a festeggiare, nel 1958, il primo Mak Pi, arricchendo la vecchia festa di fine corso con parodie e canzoni. La organizzai con Franco Porfilio al Circolo di Conversazione». 

    Gli studi universitari… 

    «A Napoli, laurea in Economia e Commercio. Ho avuto come maestro Epicarmo Corbino, grande figura di economista di stampo liberale e Ministro delle Finanze». 

    …e la ricerca del primo lavoro. 

    «Molto difficile. Ho subito delle vere e proprie angherie a causa delle posizioni politiche di mio padre, che era esponente del Movimento Sociale Italiano e aveva aderito alla Repubblica Sociale di Salò». 

    Come avvenne questa scelta? 

    «L’8 settembre 1953, capitano dell’esercito, si trovava in Albania. Erano a mensa, disarmati, con due ufficiali tedeschi che, a differenza degli italiani, furono avvertiti di quello che stava succedendo ed ebbero l’opportunità di farli prigionieri. Circondati da una pattuglia, caricati sui treni piombati, dopo un viaggio di 6 giorni giunsero in Polonia. Per lui fu una ferita mai ricucita, vissuta come un tradimento dello Stato per cui, quando fu posto di fronte all’alternativa di rimanere internato nel lager o aderire a Salò, scelse questa opzione, con l’idea di voler riscattare l’onore perduto della patria. Tutto ciò costò a lui il lavoro, perché perse la cattedra in seguito alle epurazioni del primo dopoguerra e a tutta la famiglia un duro ostracismo. In pieno regime democristiano per me non c’era posto in Agnone, dove avrei volentieri vissuto e lavorato». 

    Ed emigrasti. 

    «Nel 1965 mi unii ai tanti meridionali che raggiungevano Torino ed iniziai la mia carriera. Cominciai da impiegato di quarto livello per diventare a trenta anni manager, quando in Italia non ancora si usava questo termine anglo-sassone. Sono stato dirigente di nove aziende, tra cui l’Alfa Romeo, l’Ansaldo, l’Enea, presidente della società di ricerca Irwin Elettronica, lavorando in tutto il mondo». 

    Il papà di Enzo nelle vesti di maestro

    Quindi hai vissuto il Sessantotto, l’Autunno caldo, l’epoca delle contestazioni operaie e studentesche dall’altra parte della barricata. 

    «Ero a Torino ed ho assistito al primo picchetto. Lavorando come responsabile del personale dovevo gestire forti contrapposizioni ma non ho mai avuto a livello personale alcuna contestazione. Nel periodo delle Brigate Rosse, gli anni di piombo, un collega che lavorava nel mio corridoio fu gambizzato e io stesso, con la mia famiglia, fui attenzionato e minacciato, al punto che per due mesi sono stato protetto da una scorta». 

    Il tuo impegno politico è stato a sinistra, ti ricordo candidato alle elezioni comunali di Agnone in una lista fortissima. 

    «Mi candidai, con grande dispetto di mio padre, nel Partito Socialista Italiano e fui eletto, ma non entrai in consiglio comunale per le forti divisioni interne. Ci fu una forte polarizzazione tra il capolista, Vito Alfonso Gamberale e quanti sostenevano Michelino Carosella, che in effetti risultò il primo eletto. Alla fine, comunque, la maggioranza restò saldamente in mano alla Democrazia cristiana. Di quella stagione ricordo che quando iniziano le discussioni ‘pelose’ scattano le divisioni che sono una maledizione della sinistra ed entrano in gioco non le idee ma le persone. Divisioni che non hanno portato che guai, anche negli anni successivi». 

    Ne so qualcosa per esperienza personale; ma quali sono i principi che ti hanno ispirato politicamente? 

    «Da mio padre ho appreso il valore della solidarietà applicata alla politica, con due punti di riferimento: i valori del liberal-socialismo e l’impegno che definirei né separatista, né scissionista né autonomista ma territoriale». 

    La mamma di Enzo, Iole Amicarelli

    All’epoca il tuo cavallo di battaglia era il referendum popolare per l’uscita dalla Regione Molise. 

    «A me interessava l’unione tra i territori dell’Abruzzo e del Molise perché da un esame economico sociale e politico, da me pubblicato in un saggio, si evidenziava come la Regione Molise senza l’assistenza statale non avuto nessuna possibilità di sviluppo. Di fronte all’aggressione della Lega di Bossi contro il Sud ed alle esigenze di riaggregazione e razionalizzazione della spesa poste dall’Europa era evidente che lo Stato non avrebbe potuto più sostenerla. Il referendum non partì perché la Regione si preoccupò di addormentare le coscienze e subii forti attacchi personali. Mi accusarono di essere ‘un topo che abbandona la nave’, nonostante la mia storia fosse ben nota a tutti». 

    Questa ipotesi di riaggregazione è realmente praticabile o è una utopia? 

    «E’ semplicemente necessaria, a meno che le popolazioni non vogliano continuare nella strada della desertificazione sociale culturale ed economica». 

    Nel tempo però hai aggiustato il tiro. 

    «Dalla macroregione la mia attenzione si è spostata più sulle aree interne, quelle zone oggi di confine che in realtà sono state un territorio unito per millenni ma che è stato smembrato in quattro parti (Campobasso, Isernia, Chieti, L’Aquila). Questo territorio, Alto Molise, Alto Sannio, Alto Vastese, è omogeneo per lingua, valori, costumi e tradizioni». 

    Ne è nata un’opera di impegno culturale di recupero di valori e tradizioni, una sorta di apostolato laico. 

    «Ho fondato un sito, altosannio.it ed un gruppo Facebook che è arrivato ad avere 10.000 lettori ed una infinità di contributi. In oltre 10 anni di attività sono stati pubblicati oltre 4.000 articoli ed ho deciso di trasportarne una selezione su supporto cartaceo per farne dono ai cittadini ed alle biblioteche del territorio». 

    Alunno allo Scientifico di Agnone

    Un impegno editoriale nato nel web che transita nei libri. 

    «Ho dato vita ad una collana intitolata ‘I tesori dell’Alto Sannio’ che ha per oggetto sia gli aspetti fisici e materiali del territorio che quelli immateriali che hanno dato alla luce quattro testi: ‘Il mondo di Maria’ (Delli Quadri) che consente di ripercorrere il viaggio dal pennino al computer, dalla vanga al trattore, ‘Le novelle di Esther’ che racconta storie vere, ‘I canti e l’espressionismo letterario di Gustavo’, nel quale il pescolano Gustavo Tempesta mette insieme un complicato puzzle di storie paesane ed ‘Aprendo I cassetti’, una visione caleidoscopica che raccoglie i contributi di 24 tra I 65 cultori che hanno scritto sui siti da me curati”» 

    Credi molto nei libri. 

    «Il cartaceo resisterà nei secoli a meno che non ci siano dei topi che rosicchieranno i volumi mentre il digitale potrebbe essere distrutto in un attimo da un virus». 

    Cosa diresti ad un giovane di oggi? 

    «Non mi piace fare il professore ma se proprio devo dare un consiglio li inviterei a guardarsi dai tanti aspetti falsi e superficiali del mondo multimediale». 

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