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  • Nero su bianco Giovanni Giaccio è un giornalista

    Con una punta di orgoglio annunciamo ai nostri lettori che da qualche giorno il nostro giovane collega, Giovanni Giaccio, è diventato ufficialmente giornalista, nel senso che si è iscritto all’Ordine dei giornalisti del Molise. Il suo agognato tesserino color amaranto, quello che ha inseguito per due lunghi anni, è arrivato.

    Se lo è guadagnato sul campo, facendo il giornalista prima di esserlo formalmente.

    All’amico e collega Giovanni le congratulazioni della redazione dell’Eco e il grazie per la disponibilità che ha sempre dimostrato.

    E sperando di fargli cosa gradita pubblichiamo, di seguito, quello che lui ha scritto sul suo blog, “The Gio”, dopo aver raggiunto questo primo importante traguardo professionale. Un post dal titolo molto bello: sono pubblicista ora fatemi fare il giornalista!

     

     

     

    Era il 13 dicembre 2011, quando mi incontravo in un noto bar del paese a seguito di una conversazione su facebook (http://giovannigiaccio.wordpress.com/2014/03/15/il-social-che-mi-ha-cambiato-la-vita/). Prendevo un caffè con quello che sarebbe diventato il mio direttore responsabile, prima, e il caporedattore, dopo, nel nuovo progetto al quale stiamo lavorando.

    Durante quell’appuntamento, F.B. mi parlò della possibilità di iniziare un tirocinio di 24 mesi per ottenere il famoso “tesserino” da pubblicista. Dissi di si e, dopo aver preso accordi con l’editore, diedi inizio a quell’esperienza.

    Ero al secondo anno di università dunque immaginavo di ottenere l’iscrizione all’albo a cavallo, o poco prima, della mia laurea triennale. Devo ammettere che non ho mai saputo fare i calcoli e anche questa volta non ho fatto eccezione! Col tempo, infatti, mi resi conto che dedicarmi al giornalismo sottraeva tempo prezioso allo studio con ovvi risultati tuttavia, continuavo a ripetermi (e lo faccio ancora) che andava bene così. L’università fornisce nozioni, io con quel praticantato imparavo a fare un mestiere. Insomma, mi preparavo al futuro su più fronti.

    I piani erano diversi così come le aspettative. Mi immaginavo un futuro in discesa, una carriera dirompente e, triennale alla mano, un mondo di redazioni pronte ad aspettarmi. Lo so, sono troppo ottimista.

    Oggi, invece, lo scenario che mi trovo davanti è totalmente differente. Sono pubblicista da febbraio e fortunatamente collaboro con un piccolo quotidiano locale online, peraltro appena nato, dunque ancora non ci sono chiare le sorti economiche di questo prodotto che con tanti sforzi io, e tutta la redazione, cerchiamo di mantenere vivo e aggiornato costantemente.

    Sono giovane e devo terminare gli studi ma è così strano che io voglia lavorare? Mentre i miei amici, laurea breve al muro, hanno già perfezionato l’iscrizione ad una magistrale, io mi preoccupo di trovare un piccolo impiego come redattore perché sento la necessità di guadagnare il minimo per essere indipendente (parlo di cose di poco conto come università e qualche corso di formazione!) I miei genitori possono permettersi di mantenermi ma, scusate, è un reato non voler fare il mantenuto? E sarebbe troppo che io voglia cercare di guadagnare quel poco che mi spetta facendo il lavoro che mi piace?

    Quello che oggi qualcuno definirebbe “essere choosy” in altri tempi sarebbe stato un pregio. Avrebbe significato essere decisi, avere un obiettivo ben chiaro. È vero, oggigiorno la situazione è assai differente. Io stesso, terminati i miei studi, sono pronto ad entrare nell’officina meccanica di mio padre qualora non riuscissi a sbarcare il lunario ma mi chiedo: secondo voi è giusto?

    Sognare è lecito. Desiderare qualcosa è naturale, quasi biologico allora perché noi giovani d’oggi dovremmo dire di no ad un lavoro malpagato per cercare un impiego che ci possa rendere minimamente soddisfatti?

    Quando varcai la soglia del giornalismo, pensavo che la crisi economica avesse colpito solo giornalisti poco qualificati o con scarsa esperienza. Con il tempo, mi sono reso conto che non è così. Ho conosciuto laureati che sono a casa in attesa di vedere gli arretrati; professionisti che vengono fuori da una triennale e da una magistrale alla Luiss che hanno mollato il grande giornalismo (quello delle testate nazionali) per tentare di arricchire il panorama locale sebbene, al momento, tirano la cinghia per arrivare a fine mese. Ho parlato con scrittori che si ritrovano a girare con macchine scassate.

    Si accusa l’ordine, poi il sindacato, i colleghi omertosi e la politica ma non si trova soluzione ad una crisi nera che ha danneggiato l’immagine dell’Italia ma che, soprattutto, ci sta facendo marcire dentro. Grigi, rabbiosi e avviliti ci si trascina avanti nella speranza di qualcosa di migliore, un orizzonte meno nuvoloso.

    Sarò stupido ma io non voglio smettere di crederci. Non posso arrendermi. Onestamente credo che sia un po’ tutto il sistema a necessitare un’inversione di rotta. Non voglio entrare nei meriti (partitici) ma chi propone ad un parlamentare di decurtarsi lo stipendio per creare un fondo per l’occupazione, non sbaglia. Era il 1929 quando gli Usa, governati da Franklin Delano Roosevelt, rimisero in circolo il denaro, creando posti di lavoro e di  conseguenza spendendone altro.

    Piccole grandi idee come questa, spirito di sacrificio da parte dei miei coetanei sono i cardini per quello che si spera possa essere un mondo leggermente migliore.
    Lo so, sono solo un ventiduenne che deve studiare. Di economia non capisco niente e forse di politica poco più però, perdonatemi, sono giovane e mi sono “rotto” di guardarmi intorno e vedere il nulla.

    Non dite che i ragazzi oggi “la generazione facebook e MTV” non ha voglia di lavorare. Ci piacerebbe solo poter vedere i sogni di una vita realizzati o, quantomeno, avvicinarci a questa sensazione. Ho amici, laureati in ingegneria che si butterebbero immediatamente nel mondo del lavoro a progettare biciclette; amici dell’università che non vedono l’ora di tradurre dialoghi di stupide sit-com americane; ex compagni di liceo che dopo gli studi di economia vorrebbero dirigere un’azienda; farmacisti che ammazzerebbero per fare ricerca e poi ci sono io: sono pubblicista ora fatemi fare il giornalista!

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