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  • Ora scoprono che il futuro è nelle aree interne, Litterio: «Cominciate con il restituirci i piccoli ospedali»

    CASTIGLIONE MESSER MARINO – Riunione a distanza, ieri sera, del Movimento per la difesa delle zone interne che ha proposto di far conoscere la propria opinione in merito alla ripresa dopo il lockdown imposto dal virus. 
    «In questi ultimi giorni del Coronavirus ed in attesa di maggiore mobilità dal prossimo 4 maggio, sembra aumentato il livello di attenzione sulle zone interne, non soltanto per la minore possibilità di contrarre il virus, trattandosi di Comunità con popolazione limitata, assembramenti rari, ambiente pulito e sano, ma anche per la riproposta di modelli di vita che tornano condivisibili e desiderabili. C’è anche chi scrive che nei paesi interni e montani “c’è il nostro futuro”. – commenta il portavoce del Movimento, Domenicangelo Litterio – Certamente la verifica che la corsa alla città, insieme a tanti vantaggi, abbia prodotto danni rilevanti sia nei luoghi di partenza che in quelli di arrivo sembra portare ad esiti condivisi: lo spopolamento delle zone interne, il flusso migratorio a direzione unica monte-valle, sono stati fenomeni di una politica sociale ed economica sbagliate. Ora l’epidemia rimette tutto in discussione; ora si parla di nuova territorialità. L’attenzione va posta sulla soluzione del quesito iniziale: perché abitare in un Comune interno e montano? Che sia bello, ecologico, pacifico non è sufficiente; tutt’al più può sollecitare l’antico paesaggio della gita o della sagra, ma non è bastato e non basta per la sopravvivenza. Ci vuole altro, e prima di tutto bisogna eliminare la discriminazione sul costo della vita nelle zone interne; questa discriminazione potrà essere progressivamente eliminata con la fiscalità agevolata. In contemporanea dovrà essere eliminata la seconda discriminazione che ci umilia e punisce, e cioè l’erogazione dei servizi sulla base del numero degli utenti. Abitare in un Comune dove la posta, la banca, la scuola non sono diritti a prescindere, ma servizi condizionati dal ritorno economico, dal numero degli utenti. Ed ancora: il lavoro. L’antico disegno di “fabbrica” deve essere resettato se vogliamo applicarlo nei territori interni. In vista della riapertura delle attività commerciali e d’impresa c’è l’esigenza di unire le forze per consentire il ritorno alla produzione. Molti sindaci si stringono a patti di solidarietà per agevolare la ripresa delle attività produttive. Il Movimento di difesa delle zone interne è solidale con simili iniziative anzi è a disposizione per la condivisione. Di attività produttive nelle zone interne ci sono piccole imprese, attività artigianali e piccoli commercianti.  Il patto, secondo il Movimento, deve produrre vantaggi per tutti; dalle parti nostre si dice che per fare la farina fine il setaccio deve andare di qua e di là, rispetto alla mano che lo manovra (in questo caso da monte a valle e viceversa). Dunque tutta la disponibilità possibile a riportare i nostri operai nelle fabbriche, negli Uffici Amministrativi, nelle Scuole, dovunque.  Ma questo è il tempo della riconsiderazione dello “svantaggio” di vivere nelle aree interne; è il tempo dello sfruttamento delle risorse ambientali, della ricerca di nuove forme di turismo ecologico e soprattutto delle nuove forme occupazionali, sul lavoro a distanza. Come si può offrire ai giovani il lavoro a distanza, dalla propria casa? Ci sono molte risposte serie e che hanno bisogno di volontà politica, di capacità amministrativa e di risorse. Certo senza la banda larga, senza rapidità di collegamenti, le soluzioni di lavoro a distanza sono un sogno.
    Dunque si riuniscono i sindaci: il setaccio va e viene. Ma se tutto si risolve con il solo movimento all’andata nulla cambierà, con o senza virus. Immaginiamo un sindaco, per esempio che propone come incentivo al turismo interno tratti di pista ciclo-pedonale negli splendidi paesaggi interni e montani; o che propone, nei tratti pedemontani e vallivi del territorio, l’individuazione di aree artigianali-industriali. Stiamo nel cuore del problema sanitario e l’evidente distrazione della politica rispetto agli ospedali. Come fa questo setaccio a tornare anche un po’ “di qua”? Abbiamo i nostri presidi sanitari dislocati in varie parti del territorio interno e che sono stati nel tempo depotenziati, con servizi e personale ridotti, annullati come capacità di rispondere alle esigenze di salute della gente. Torniamo ad utilizzarli, da subito: Casoli, Atessa, Gissi, Agnone e tanti altri devono servire a meritare lo slogan di moda: “il futuro è nei paesi interni e montani”. Dunque riapriamo (con le cautele previste) le fabbriche e tutte le attività possibili, spiagge, ristoranti, palestre, tutto; è giusto, è un bene per tutti; troviamo, contestualmente, risorse ed elaboriamo progetti realistici per ridurre ed eliminare lo spopolamento delle zone interne. Le risorse finanziarie ci sono, anche quelli della Strategia nazionale per le aree interne, i fondi nazionali e regionali per la montagna e finanziamenti comunitari e nazionali per progetti specifici. Se vogliamo farina fine».

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