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  • “Un cristiano senza Chiesa e un socialista senza partito”, Agnone ricorda la figura di Ignazio Silone

    “Ignazio Silone: un cristiano senza Chiesa e un socialista senza partito“. E’ il titolo dell’importante appuntamento culturale previsto per oggi – 3 agosto – nel chiostro del convento di San Francesco, ad Agnone. L’appuntamento, organizzato Centro Studi Alto Molise, in collaborazione con il Progetto Culturale della Diocesi di Trivento, è pervisto alle ore 18. Interverranno Attilio Danese, docente di Filosofia e politica, Giulia Paola Di Nicola, docente di Etica sociale. Per il Centro Studi Alto Molise introduce e modera Riccardo Longo.

    Chi era Ignazio Silone – Pseudonimo di Secondino Tranquilli, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero, nasce il 1° maggio 1900 a Pescina dei Marsi, un comune rurale in provincia dell’Aquila. Per motivi economici, frequenta dapprima il seminario di Pescina e poi il liceo-ginnasio di Reggio Calabria, ma deve abbandonare gli studi in seguito al terremoto della Marsica del 1915, in cui perderà i genitori e cinque fratelli. La catastrofe naturale pone Silone, sin da ragazzo, di fronte alla perversa attitudine di alcuni uomini allo sciacallaggio e alla furia bestiale di assassini, spesso travestiti di perbenismo. Questi eventi contribuiscono a esasperare il contrasto che già lo scrittore aveva avvertito «tra la vita privata e familiare, ch’era, o almeno così appariva, prevalentemente morigerata e onesta, e i rapporti sociali, assai spesso rozzi odiosi falsi». Da tali parole e da altre pagine di Uscita di sicurezza si può datare la conseguente scelta dei compagni e dell’impegno politico di Silone, proprio in coincidenza con questa drammatica vicenda personale e sociale.Rimasto improvvisamente senza famiglia, il ragazzo va a vivere «nel quartiere più povero e disprezzato del comune» e comincia a frequentare la baracca dove ha sede la Lega dei contadini. Inizia così il suo apprendistato di militante rivoluzionario che, sotto l’influsso di Lazzaro, l’incarnazione del cristiano autentico, del «cafone» santo, si pone sotto il segno di Cristo e della Chiesa dei poveri, degli afflitti, di coloro che «hanno fame e sete della giustizia».

    L’impegno sociale – Proprio nei giorni del terremoto l’autore conosce don Orione, e su quell’incontro scrive una bella pagina autobiografica dal titolo Incontro, pubblicata nel volume Uscita di sicurezza nel 1965. Appare evidente che la scelta di Silone, che lo porta a prendere precocemente posizione contro la vecchia società e il potere costituito, può essere considerata una sorta di «conversione, un impegno integrale, che implicava un certo modo di pensare e un certo modo di vivere». Il giovane, interiormente disgustato dai soprusi, dalla violenza, dall’ipocrisia, si convince che l’unica risorsa sia quella di aiutare i poveri, schierandosi al loro fianco. Già nel 1917, a soli diciassette anni, aveva inviato alcuni articoli all’«Avanti!» in cui denunciava le indebite appropriazioni di fondi destinati alla ricostruzione dopo il terremoto. Più tardi frequenta la Lega dei contadini del suo paese e diventa segretario regionale della Federazione dei lavoratori della terra: gli amati «cafoni» di Fontamara. Prende anche parte attiva alle lotte contro la guerra e viene processato per aver capeggiato una manifestazione violenta. Nell’immediato dopoguerra si trasferisce a Roma, dove entra a far parte della Gioventù socialista, opponendosi al fascismo fin dalla sua nascita. Come rappresentante di questo movimento politico e sociale, egli partecipa nel 1921 al Congresso di Livorno e alla fondazione del Partito comunista italiano. L’anno successivo diventa direttore del settimanale romano «L’Avanguardia» e redattore del quotidiano triestino «Il Lavoratore», la cui tipografia viene più volte incendiata dagli squadristi.

    L’uscita dal Pci – Compie diverse missioni all’estero, ma per via delle persecuzioni fasciste è costretto a vivere in clandestinità, pur collaborando attivamente con Gramsci e occupandosi de l’Unità e di altri giornali stampati di nascosto. Nel 1926, dopo l’approvazione da parte del Parlamento delle leggi in difesa del regime, vengono sciolti tutti i partiti politici e soppressa la stampa di opposizione. Togliatti assume la direzione del centro estero del Pci e a Silone viene affidata la segreteria del centro interno. Comincia intanto a profilarsi la crisi che lo porterà, nel 1930, a uscire dal partito, soprattutto per la sua opposizione alla politica di Stalin. L’elemento determinante del distacco stava, secondo Silone, nell’incapacità dei comunisti russi di discutere «lealmente» le opinioni contrarie alle proprie. Ogni divergenza di opinione col gruppo dirigente «era destinata a concludersi con l’annientamento fisico della minoranza da parte dello Stato». Era il momento della svolta della Terza Internazionale, che aveva spaccato i comunisti italiani e indotto Togliatti a espellere dal partito alcuni dirigenti di primo piano (Tresso, Leonetti e Ravazzoli), nell’illusione – suggerita da Mosca – che la rivolta operaia contro il fascismo fosse imminente e destinata alla vittoria. Da questo momento, Silone sarà un socialista cristiano, non più un marxista. In questo clima di lacerazioni politiche si compie un altro dramma nell’esistenza tormentata dello scrittore. Romolo, il fratello più giovane, l’ultimo superstite della sua famiglia, viene arrestato nel 1928 con l’accusa di appartenere al Partito comunista illegale: «Al momento dell’arresto egli era stato così duramente torturato da riceverne permanenti e atroci lesioni interne; e dovette attendere fino al 1932, nel penitenziario di Procida, la fine che ponesse fine al suo martirio». Questa tragedia gli peserà addosso per tutta la vita, riaffiorando nei romanzi come ripetizione e rispecchiamento di un dolore privato e universale. Quando il fratello fu arrestato, Silone aveva già scelto la via dell’esilio in Svizzera, dove rimase fino al 1945, ed egli considererà questa sua assenza come una colpa senza appello.

    Socialista senza partito e cristiano senza Chiesa – Deciso ormai a condurre una vita da «socialista senza partito e cristiano senza chiesa», Silone svolge un’intensa attività culturale. Dal 1931 al 1933 fonda e dirige la rivista in lingua tedesca «information», collabora a «Le Nuove Edizioni di Capolago» per la pubblicazione di scritti degli emigrati. Sono anche anni di intensa attività letteraria: tra il 1927 e il 1930 scrive articoli e saggi di grande interesse sul fascismo italiano e, soprattutto, il suo romanzo più famoso, Fontamara. Le accese polemiche contro il nazifascismo e lo stalinismo lo portano a una nuova militanza politica attiva, cosicché nel 1939 dirige il Centro estero socialista di Zurigo. Gli echi mondiali dei manifesti e dei documenti diramati da questo centro provocano la reazione dei fascisti, che chiedono l’estradizione di Silone. Le autorità elvetiche rifiutano, ma internano lo scrittore a Davos e poi a Baden per avere svolto attività politica illegale. Nel 1941 pubblica, in tedesco, Il seme sotto la neve e tre anni dopo rientra in Italia, dove aderisce al Partito socialista, assumendo una posizione intermedia, che si oppone soprattutto alla fusione Pci-Psi. Dal 1945 al 1946 dirige l’«Avanti!» e nel 1947 fonda «Europa Socialista». Due anni dopo tenta una fusione su nuove basi di tutte le forze socialiste con l’istituzione del Psu, ma le delusioni che ne derivano lo convincono al definitivo ritiro da ogni militanza politica istituzionale. L’anno successivo dirige la sezione italiana del Movimento internazionale per la libertà della Cultura e nel 1956 assume la direzione, insieme con Nicola Chiaromonte, della rivista «Tempo Presente», un’emanazione dell’Associazione per la libertà di critica.Al registro ideologico, che lo ha visto sempre pronto a opporsi a ogni abuso della politica, si affianca in questi anni un’intensa attività narrativa. Dal 1952 al 1968 escono Una manciata di more, Il segreto di Luca, La volpe e le camelie, Uscita di sicurezza e, infine, l’opera che per molti rappresenta il suo capolavoro, L’avventura d’un povero cristiano. Il 18 agosto 1978, dopo una lunga serie di malattie, Silone si spegne in una clinica di Ginevra, fulminato da un ictus che in quattro giorni lo porta alla morte. Viene sepolto a Pescina dei Marsi ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo con vista del Fucino in lontananza. Sulla sua tomba, costruita con blocchi di roccia delle vicine montagne, non c’è nessuna epigrafe, come lui volle nel breve testamento, riprodotto per volontà della moglie Darina nel volume postumo intitolato Severina.

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