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  • «Via dalle città. Nei borghi c’è il nostro futuro» … e ci voleva una pandemia per scoprirlo

    PUBBLICHIAMO di seguito stralci di una lettera aperta scritta da Marco Bussone, presidente nazionale Uncem – Unione nazionale Comuni, Comunità ed Enti montani, indirizzata all’architetto Stefano Boeri. Il docente universitario, in una recente intervista, ha ipotizzato che la pandemia e l’emergenza sanitaria in atto possano favorire un ritorno alla vita rurale, al progressivo spostamento dalle città alle zone montane, più isolate e proprio per questo più vivibili e “sicure” anche rispetto al covid19. 

     

    Preg.mo Professor Boeri,

    ho letto con molto piacere la sua analisi. Mi ha particolarmente colpito il  virgolettato nel titolo: “Via dalle città. Nei borghi c’è il nostro futuro“. Una frase, insieme con altre, che un po’ mi ha sorpreso, positivamente, pronunciata da un architetto e docente universitario che negli anni si è prettamente occupato di aree urbane, da ripensare, nella logica del risparmio del consumo di suolo, dell’efficienza energetica, di una rifunzionalizzazione degli spazi, di economie circolari che sappiano dare risposte alla crisi climatica. Sono temi per noi fondamentali sin dal 1952, anno di fondazione di Uncem. Un confronto costante, per definire percorsi politici, istituzionali, economici, sociali, capaci di essere antidoto all’abbandono, allo spopolamento, all’allontanamento dei servizi e ai diritti di cittadinanza sempre più rarefatti. Dopo decenni di “confinamento” di questi temi ritenuti marginali e poco centrali nel dibattito pubblico, oggi assistiamo a un risveglio. La Strategia nazionale Aree interne che sta investendo 600 milioni di euro su 72 zone pilota italiane, il ritorno del “Fondo nazionale per la Montagna”, gli Stati generali della Montagna lanciati dal Ministero degli Affari regionali, il Piano banda ultralarga per colmare i divari digitali. E poi i media che accendono i riflettori sui borghi, speciali tv e sui giornali, tanti “Manifesti” che mettono al centro un nuovo “territorialismo“.

    E vengo al motivo centrale per il quale Le scrivo. Cioè fare un Patto. Il Patto è provare a costruire insieme percorsi. Su un nuovo modo di vivere e abitare, dicevo. Nei borghi da Lei richiamati non servono griffe, o tanti milioni di euro. Servono in primo luogo modelli e progetti, visione. Ascolto degli Enti locali, dei Sindaci, protagonismo delle comunità abitanti. Servono rilancio delle politiche per agricoltura e ripensamento dei modelli turistici. I borghi non sono luna park e non sono tutti disabitati. Possiamo usare meglio e più fondi europei per la politica di coesione che dovremo avere proprio per rivitalizzare i nostri borghi alpini e appenninici. Per un Programma operativo nazionale dedicato alla Montagna e alle aree interne. Questa emergenza sanitaria lo impone.

    Sono 200 Comuni in Italia che non hanno più un negozio o un bar. È gravissimo. Altri 500 sono a rischio. Il digital divide distrugge i borghi più del tempo. Lavoriamo insieme sulla fiscalità differenziata e peculiare per queste aree montane, per chi vive oggi e per chi vuole vivere e fare impresa nei borghi. Un modello fiscale univoco, esistente oggi, non è egualitario, bensì sperequativo. Non va incontro a chi nelle aree montane conduce un negozio di prossimità, unico del paese e si trova a dover pagare le stesse imposte del caffè in piazza San Babila o della catena commerciale in piazza Vittorio Veneto. Dobbiamo agire in fretta su questo. L’emergenza sanitaria impone nuovi modelli economici che non chiedono “alle città e alle aree montane di adottare un borgo”, bensì di trovare soluzioni sussidiarie che evitino che i paesi siano solo più luogo dove rimane chi non sa dove andare o dove si faccia un po’ di turismo del week end, qualche gita, che lascia niente, manco la spesa per un panino.
    Negli ultimi vent’anni, questa traiettoria fondata sull’assistenzialismo e sulla lamentazione un po’ si è invertita: tanti borghi, moltissimi paesi sono luoghi di sperimentazione, benessere, innovazione, non solo artistica, culturale, professionale. Nuovi modi di abitare. Dunque non un’adozione ma un nuovo legame tra aree urbane e montane. Dove le prime riconoscono e valorizzano (anche monetariamente) quei servizi ecosistemici-ambientali che la montagna svolge, con le foreste che assorbono Co2 e con il governo dei versanti per la protezione del dissesto assicurando le fonti idriche, ad esempio.

    Uncem continua a lavorarci, su tutto questo. Ogni istante, con migliaia di Sindaci e Amministratori chiamati a dare risposte alle Comunità. Siamo Istituzioni in uno Stato che c’è e che non ha dimenticato come è fatto. È per metà Alpi e Appennini. È una maglia intrecciata di borghi e di paesi, di piazze e di campanili. Sono la nostra Essenza. Prendiamocene cura insieme. La Montagna è di tutti, il futuro è un percorso comune. Tutto questo per RiAbitare l’Italia – ci insegna il Suo Collega Antonio De Rossi, con tanti altri Amici – e vincere le sfide del presente. Quelle imposte dal covid-19 e ancor di più quelle della crisi climatica che ci vede “protagonisti”, nell’anticipare le risposte, nelle zone montane, creando opportunità sostenibili e volte a unire, anche Lei e chi lo vorrà in questo prezioso percorso (non solo della Montagna) di Paese.

    Marco Bussone
    Presidente nazionale Uncem
    Unione nazionale Comuni, Comunità ed Enti montani

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