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  • Voleva costruire un ospedale ad Agnone con i suoi soldi, Chiesa e Comune dissero no

    La storia del ricco orologiaio Pasquale Mario che emigrò in Svizzera e girò il mondo.

    Un gruppo di amici, cultori della storia del lavoro agnonese, ha recentemente portato alla luce la singolare e notevole figura di Pasquale Mario. Da Alfonso Tagliamonte, Michele Marinelli e Vincenzo Pannunzio è partita la proposta di intitolare uno spazio pubblico a questo personaggio, ormai dimenticato dai più, che tra la seconda metà dell’Ottocento ed i primi del Novecento fu orologiaio di successo, uomo di affari, viaggiatore e filantropo.
    Nato a Agnone il 16 marzo 1844 da famiglia umile, a vent’anni lasciò il paese nativo per cercare lavoro e fortuna in Svizzera, dapprima a Môtiers e successivamente a Neüchatel, dove trovò posto come garzone in una fabbrica di orologi. La Svizzera, oggi ritenuta la patria per definizione dell’orologeria era da qualche decennio protagonista di una trasformazione produttiva volta a rendere disponibile l’orologio, un oggetto fino al ‘700 realizzato prevalentemente in Italia Francia e Spagna ad uso dell’aristocrazia e delle classi abbienti, ad un più ampio mercato. In tale contesto Pasquale Mario, partendo dal nulla, riuscì ad imporsi con la realizzazione di oggetti di grande valore, degli autentici gioielli sia dal punto di vista meccanico che artistico. Nel 1900, avendo raggiunto un cospicuo patrimonio stimato sui 250.000 franchi si trasferì in Egitto ed iniziò a fare la spola tra Svizzera, Molise ed Africa, continente di cui si innamorò viaggiando in Sudan, Kordofan e Darfour.

    Italo Marinelli con Nino Serafini e l’avvocato Alfonso Tagliamonte


    Un esempio della sua perizia e fantasia costruttiva è rappresentato da un orologio realizzato per Ulisse Tirone, presentato alla Esposizione Nazionale di Milano del 1881, nel quale genialmente i ponti del meccanismo interno andavano a comporre la parola Italia. Fu premiato in tale occasione con la medaglia di bronzo solo perché l’opera venne ritenuta dalla giuria di concezione svizzera e non nazionale.


    Sono diversi gli esemplari di orologi da tasca per uomo e signora, finemente cesellati ed incisi con i nomi del produttore e del destinatario che possiamo oggi ammirare, a cui Nicoletta Pietravalle ha dedicato un capitolo nel suo prezioso volume “Ori e argenti di Agnone“. Ma la cassa metallica serviva anche ad altro. Nino Serafini, figlio d’arte del famoso orologiaio agnonese detto Ciccill’ papà, che ancora oggi, lucidissimo novantenne, maneggia con perizia bilancieri ed ingranaggi, ci dice che sulle casse venivano incise, a mo’ di garanzia, delle sigle attestanti la data e l’autore della riparazione. L’orologio era a tutti gli effetti un oggetto di grande valore e permetterne la funzionalità un atto di alto artigianato, da testimoniare in maniera indiscutibile anche nel caso di eventuali reclami. Aggiunge che  ha avuto occasione di vedere un prodotto dell’industria di Pasquale Mario e lo ritiene  più un ideatore e manager che un vero e proprio artigiano.

    Uno degli orologi appertenuti a Pasquale Mario


    Un orefice che prima di altri scoprì ed inseguì nel mercato locale gli orologi di Mario fu Lorenzo Pace, soprannominato Pacett, personaggio indimenticabile per la sua personalità ed il suo carattere. Il suo ex socio Michelino Marinelli ci fornisce una ricca documentazione su due aspetti della personalità di Pasquale: quella di viaggiatore in terre esotiche, quell’Africa di cui era innamorato e che rappresentava per la sua impresa un importante sbocco commerciale, ma soprattutto quella di filantropo.

    Nel 1897 l’Eco del Sannio annunciava il ritorno in Agnone di Mario, giunto a far visita ai parenti e successivamente lo stesso giornale scriveva che “lasciò Agnone senza un soldo, in cerca di quella fortuna che egli ha acciuffato a forza di lavoro ed attività veramente sorprendenti. Dopo aver acquistato una celebrità quasi mondiale si è dedicato a viaggi in terre lontane dov’è ha affrontato disagi e pericoli. Pasquale Mario non ha figli e poteva godersi un meritato riposo; invece no! Egli lavora per la sua idea: l’impianto dell’ospedale”. Risulta agli atti che domandò al consiglio comunale la concessione gratuita e perpetua dell’ex convento dei Cappuccini e di una attigua chiesetta, successivamente demoliti e ubicati nella attuale Piazza dell’Unità d’Italia. Pasquale Mario stanziò una cifra cospicua, 175.000 lire, una vera e propria fortuna a quei tempi, per la realizzazione di un opera di uso pubblico, una nobile causa.

    Ma la vicenda ebbe una fine ingloriosa, per l’opposizione dei religiosi locali che temevano la realizzazione di un centro di culto protestante. Lo stesso quindicinale, nel numero 24 (31 dicembre) del 1907 comunicava alla cittadinanza che “dopo avere accolto all’unanimità la proposta, il consiglio comunale ha tirato fuori un emendamento, votato da 13 consiglieri su 18, per escludere dalla concessione la chiesa dei Cappuccini. Le cause che hanno procurato ciò? Essendo Pasquale Mario un fervente protestante il nostro clero si è agitato e, siccome nelle elezioni il clero rappresenta qualcosa, la ragione di partito ha imposto l’emendamento. Come la prenderà Pasquale Mario?”.

    La prese molto male, anche perché dotato di carattere deciso e combattivo: “Il suo discorso al Circolo dei Lavoratori Indipendenti ebbe accenti polemici su cui sorvoliamo” ci informa l‘Eco del Sannio. I fondi presero un altra strada e la comunità agnonese perse un’ottima occasione per dotarsi di una struttura all’epoca assente in tutta la zona.  Scriveva sconsolatamente a tal proposito nel 1908 sul giornale “Il martello” di Buenos Aires l’emigrato Vincenzino Marinelli: “I buoni propositi di un cittadino si spuntano contro certi criteri piccini propri di queste sventurate contrade dove l’ignoranza regna sovrana. A noi che la fortuna sbalzò oltreoceano non giova la nostalgia dei nostri monti, non giova inculcare rispetto e ammirazione per il nostro paese natio nei nostri figli, perché quest’altezza di sentimenti colà non è compresa”.


    Pasquale Mario morì a Palermo, di ritorno dall’Africa, il 30 ottobre 1919; Agnone non ebbe il suo ospedale. Ci restano i suoi splendidi orologi. La proposta di intitolargli una strada o una piazza del paese a lui così caro, ma che gli negò la soddisfazione di un generoso atto di amore, meriterebbe la dovuta attenzione per l’attualità della sua vicenda umana e professionale in un momento in cui il suo sogno, l’ospedale, rischia di svanire per la seconda volta.

    Italo Marinelli

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