SCHIAVI DI ABRUZZO – Su iniziativa del “CENTRO ITALICO SAFINIM A.P.S.” e con l’attiva collaborazione delle famiglie di Schiavi di Abruzzo, papà, mamme e bambini si sono dati appuntamento, nei giorni scorsi, nei locali della ex scuola con l’intento di riscoprire un’ antica tradizione del paese ormai andata persa da decenni: le casette dei morti, ribattezzate per l’occasione in un meno lugubre “Casette degli Angeli”.
«Il culto dei defunti in Abruzzo ha radici antichissime, lo dimostra la presenza diffusa sul territorio di vari tipi di rituali, molti scomparsi o soppressi, altri che sopravvivono grazie all’attaccamento alle tradizioni da parte di alcune comunità locali. Un tratto distintivo ancora in auge in molti paesi della Valle del Trigno è l’usanza dei ceri accesi nelle case e nelle chiese. Fino a pochi decenni fa, quando le case dei centri storici erano ancora abitate, i paesi assumevano l’aspetto di una diffusa luminaria. Queste luci servivano ai defunti per farsi luce sulla strada del ritorno, quelle accese alle finestre indicavano ai morti il luogo dell’antica dimora. Dalle luci del camposanto alle lingue di fuoco delle candele oscillanti alle finestre si snodava, silenzioso e invisibile il corteo delle anime dei defunti», spiegano dal Centro italico Safinim. E proprio l’associazione culturale ha pubblicato, sulla propria pagina social, stralci da “Vita e Credenze popolari in Schiavi di Abruzzo” del professor Edilio Fantilli: «Il folclore funebre schiavese offriva un prodigo ventaglio di credenze e usanze relative alla morte. Le anime dei defunti erano circonfuse da un fervido e perpetuo sentimento di pietà, nonché da un culto che stringeva i vivi e i morti in una schietta e continua “corrispondenza di amorosi sensi”. In questo humus di viva “pietas” hanno attecchito superstizioni e consuetudini dal timbro vario e singolare. Il canto stridulo e querulo di gufi e civette agitava il sonno degli schiavesi, perché ritenuto nunzio di morte. Nel novero dei segni di cattivo auspicio troviamo il banchettare in una tavola rivolta verso l’uscio: questa disposizione si osservava nelle veglie esequiali. Ad Aprile, insieme alla natura, si risvegliava un’altra credenza: il primo cuculo che segnalava la propria presenza con il suo caratteristico canto bitonale, era la reincarnazione dell’ultima persona morta nel mese di Marzo. Il 2 di novembre era possibile addirittura vedere i morti sfilare in processione. In testa c’erano le anime splendenti dei beati, che tenevano in una mano un lumino, e nell’altra un mazzo di fiori. In coda la turba livida dei reprobi, immersa nelle tenebre, ammiccava minacciosa. Quando si desiderava che un proprio caro deceduto sfilasse nel gruppo dei beati, bisognava accendere un lumino in chiesa. Nelle frazioni si narrava di un uomo ubriaco che, fischiettando, ed abbandonandosi a rumorosi fenomeni di meteorismo, passeggiava vicino alla chiesa del Purgatorio, dissacrando così il riposo eterno delle anime sepolte nella cripta ivi annessa; le quali, fortemente indignate, gli ricordarono che presto o tardi anch’egli, così irriverente e ridanciano, avrebbe sperimentato, come loro, la morte: – Tu pisse e hé mi ni ‘nzò, hé so sctate gna si tò, prega deija ca tìa muré, e hìa viné ‘ndonna sctinghe hé – (tu passi e hé mi ni ‘nzò – intraducibile -, io sono stato come sei tu, prega Dio, perché dovrai morire, e dovrai venire dove sto io)».
Dopo aver realizzato, con materiali di risulta e tanta fantasia, le casette, il prossimo 31 ottobre i bambini di Schiavi, insieme alle rispettive famiglie, collocheranno i manufatti con i lumini accesi al loro interno, lungo la scalinata centrale della “Rotonda”, la villa comunale adiacente al cimitero.