Anche se di fatto la gestione della Sanità è già materia di competenza regionale, prevista dal titolo V della Costituzione, proviamo ad immaginare cosa potrebbe succedere in questo settore in caso di piena applicazione della Legge sull’Autonomia differenziata, approvata dal Parlamento.
In primo luogo, diminuiscono di molte le competenze del Ministero della Salute, che perde la programmazione sanitaria e tutte le competenze, che di fatto passano alla Conferenza Stato – Regioni, luogo in cui trovare tutte le mediazioni necessarie e gli accordi relativi su queste materie. Qui vengono definiti, in una serie di trattive, le assegnazioni sanitarie dei fondi per ogni regione in base ai Lea, e lo Stato si limita ad indicare solo la cifra del fondo sanitario valido per tutta Italia.
Il Ministero della Salute perde ogni competenza di programmazione sanitaria: per cui, addio DM 70 e DM 77, in quanto ogni Regione, per l’autonomia da essa maturata, può riprogrammare i servizi ospedalieri e territoriali come vuole, il personale, i servizi e la loro organizzazione, all’interno della quadratura dello stanziamento ad essa assegnato, che non può sforare, e se lo sfora, è obbligato a coprirlo reperendo fondi dal proprio bilancio, perché non ci sarà più ripiano dallo Stato.
Ciò certifica la fine definitiva del Sistema Sanitario Nazionale e la nascita di 21 sistemi sanitari regionali. Di conseguenza, i fondi assegnati alla Regione, sono solo per i cittadini residenti nel suo territorio, e non per gli altri extraregionali. Di conseguenza, la Regione, stipula accordi con le strutture convenzionate solo per i suoi cittadini residenti ed assicura solo il pagamento di tali budget stabiliti.
Nell’ipotesi estrema, la Regione assicura solo le prestazioni nelle strutture presenti nel suo territorio ai suoi cittadini residenti, ma non copre le prestazioni sanitarie dei cittadini che si recano in strutture extraregionali. A meno di stabilire con accordi interregionali i budget con altre Regioni o con accordi diretti con strutture extraregionali, cosa molto difficile perché, per esigenze, diciamo politiche, ogni Regione cercherà di garantire in primis con il suo budget più servizi ai suoi territori. Questo fatto porterà la costrizione per ogni cittadino di doversi fare una assicurazione privata integrativa, onde poter pagare le prestazioni presso strutture extraregionali, perché diventerà prassi da parte delle Regioni non riconoscere prestazioni erogate ai suoi residenti da strutture extraregionali al di fuori degli accordi stabiliti.
Se da un lato questo sistema può produrre dei vantaggi, sull’altro versante limita e circoscrive i diritti costituzionali dei cittadini in materia di salute e crea problemi di accesso alle cure, nonché aumento della spesa sanitaria privata. Ovviamente, chi disporrà di più risorse, potrà offrire di più, chi di meno, meno.
Dal punto di vista del personale, non è automatico che le Regioni più ricche potranno accaparrarsi il personale sanitario delle regioni svantaggiate, in quanto i contratti collettivi nazionali di lavoro rimangono validi, e bisogna concretamente vedere che incentivazioni reali e indennità aggiuntive possono essere effettivamente erogate, per far scattare questo sistema competitivo.
Inoltre, vista la autonomia differenziata anche per scuola e università, la programmazione dei posti per l’accesso alle università del personale sanitario può essere stabilito come contingente da ogni regione, che dal suo bilancio, senza vincoli, può prevedere borse di studio specifiche per le discipline di cui ha bisogno, vincolando per un tempo determinato gli specializzati ad essere assunti nella propria regione senza possibilità di trasferimento.
Ogni Regione per la prevenzione, la gestione delle pandemie, e quant’altro, a meno di accordi specifici in Conferenza Stato – Regioni, sarà autonoma nella gestione e nell’organizzazione, e i dubbi nascono dall’effettiva possibilità da parte di ogni Regione di gestire le emergenze.
In merito alle risorse, essendo vincolati al patto di stabilità e coesione, è molto probabile, causa il nostro deficit molto alto e le politiche di rientro dal debito, che il Fondo sanitario complessivo tenda piuttosto a rimanere bloccato o crescere meno rispetto al tasso di inflazione, per cui, ogni anno, o la Regione stanzia fondi aggiuntivi (cosa possibile per Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, meno per le altre) oppure occorrerà fare una spending rewiew ogni anno dolorosa, che, se da un lato richiederà manager sanitari di alto livello per eliminare gli sprechi, dall’altro potrebbe segnare una riduzione progressiva dei servizi garantiti ai cittadini della propria regione.
Ovviamente, se rapportiamo questo quadro al Molise, che si trova già in difficoltà altamente croniche per la gestione sanitaria, la difficoltà nel garantire diversi servizi soprattutto di emergenza-urgenza ospedaliera e territoriale, la mancanza e la fuga del personale sanitario in diversi comparti, la diminuzione della popolazione – previsione forse attendibile prevede che in un decennio possiamo scendere sotto i 200.000 abitanti -, per cui ben difficilmente sarà possibile confermare i 685 milioni di euro stanziati per il fondo sanitario regionale di quest’anno, e con difficoltà si potrà contare sulla solidarietà delle altre Regioni, le conclusioni sono facili da trarre e non sono certamente ottimistiche.
Come si vede, si apriranno pagine complesse per assicurare, alla luce dell’art.32 della costituzione, il diritto alla salute per i cittadini italiani, da studiare ed approfondire seriamente prima di ogni riforma.
don Francesco Martino