Da don Francesco Martino riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Caro Francesco (Bottone, ndr),
ho letto il tuo articolo di augurio al “prete rompiscatole” e ti ringrazio per il “pensiero” originale che hai avuto per farmi gli auguri. Vorrei solo commentare e precisare con te un pensiero che tu hai riportato sulla figura del nostro Vescovo, Mons. Domenico Angelo Scotti, perché il leggerlo mi ha fatto personalmente interiormente molto male, perché ho pensato non al suo ruolo di Vescovo, ma all’amico, al confratello, al padre, alla persona, all’importanza della sua figura per me per tutta la mia vita, e il tuo commento mi è sembrato ingeneroso e non corrispondente alla verità dei fatti. Mi sono risuonate nel cuore le parole che Papa Francesco ci rivolse in quell’udienza data a novembre al nostro ordine dei giornalisti, in cui ero presente con l’amico Vincenzo Cimino. “Rispettare la dignità umana è importante in ogni professione, e in modo particolare nel giornalismo, perché anche dietro il semplice racconto di un avvenimento ci sono i sentimenti, le emozioni e, in definitiva, la vita delle persone. Spesso ho parlato delle chiacchiere come “terrorismo”, di come si può uccidere una persona con la lingua. Se questo vale per le persone singole, in famiglia o al lavoro, tanto più vale per i giornalisti, perché la loro voce può raggiungere tutti, e questa è un’arma molto potente. Il giornalismo deve sempre rispettare la dignità della persona. Un articolo viene pubblicato oggi e domani verrà sostituito da un altro, ma la vita di una persona ingiustamente diffamata può essere distrutta per sempre… Il giornalismo non può diventare un’“arma di distruzione” di persone…”. Conosco il mio Vescovo da quando era un giovane sacerdote con 19 anni di ordinazione, per 6 anni abbiamo in seminario abitato, condiviso la vita comunitaria intera, le uscite, i ritiri insieme e come una famiglia; almeno 5 giorni su sette avevamo colloqui personali essendo il mio Padre Spirituale su tutta la vita, ed è grazie a lui che sono il sacerdote che sono, perché lui, con pazienza, con calma, con fiducia, con amore e con decisione mi ha guidato e aiutato nella formazione personale in quegli anni delicati e fragili, decisivi per il futuro della scelta di vocazione compiuta, insieme a tanti altri miei confratelli. I nostri contatti sono continuati anche dopo: lui mi ha incoraggiato sulla strada della Pastorale della Salute e ha sostenuto il mio primo progetto in materia quando scrissi il libro “La vocazione cristiana alla professione infermieristica”, mi mise in contatto con Padre Giandomenico Mucci della Civiltà Cattolica che lo recensì, mi aiutò a diffonderlo a Pescara. Negli anni prima di essere Vescovo mi ha aiutato anche in questioni della Parrocchia di Roio del Sangro, e in tantissime altre occasioni. Quando penso a lui, che quest’anno compie 50 anni del suo cammino, ed io la metà, non posso non pensare che se non ci fosse stato lui, io non sarei mai stato qui a fare le battaglie che ho fatto. Ed è allora, caro Francesco, che sulla figura del mio amico e confratello, prima che Vescovo, sia ristabilita la verità storica dei fatti: quando ho rilasciato l’intervista all’Eco, pronunciando le parole “basso profilo” NON INTENDEVO QUELLO CHE TU INTENDI E HAI SCRITTO IN OGNI OCCASIONE: anzi, se guardi l’episcopato attorno a noi, l’impegno del mio Vescovo è stato di alto profilo per come ad un Vescovo è consentito: il basso profilo è riferito ai MODI, non alla sostanza della sua azione e del suo intervento. Voglio ricordare la presenza al Comune di Agnone con i Sindaci sotto l’era De Vita; la celebrazione in Santa Maria di Costantinopoli, il discorso tenuto, la fiaccolata sotto la pioggia con i sacerdoti e il popolo della diocesi dietro un famoso striscione per le vie di Agnone sotto e il discorso all’ospedale; era con noi al Consiglio Regionale quando ci ricevette l’allora minoranza di centrosinistra per il Caracciolo; l’incontro privato con il Commissario Basso a Trivento, in cui, a cose già fatte e con noi già soppressi, riuscì a far inserire da questi nel piano sanitario, che già aveva fatto fuori il Caracciolo, la dicitura, dallo stesso Commissario suggerita, di “ospedale di Area Particolarmente Disagiata”, quando la normativa ancora non esisteva e si stava discutendo ancora su di essa, ricevendo poi la conferma che l’ospedale di Agnone era stato così salvato; per non parlare degli innumerevoli incontri con Michele Iorio e Frattura, con la D’Innocenzo, in cui si è sempre speso, finanche per far arrivare al più presto i medici in Medicina e in Dialisi, per garantire l’accesso dei pazienti che non riuscivano ad entrare in Dialisi, nonché perché l’Ospedale potesse vivere, per i servizi dello stesso. Anche lui è stato preso in giro più volte come tutti noi, e questo è un fatto grave. Ma la sostanza di alto profilo c’è stata. Oggi, però, caro Francesco, siamo vittima della “cultura dello spettacolo e della recitazione” per cui se uno urla, sbraita, spara a zero, protesta, recita attaccando tutto e tutti, ma poi finisce tutto lì e non dà conseguenza a quello che fa perché gli interessa solo la pubblicità mediatica e la notorietà sui social e sulla stampa, allora è un eroe. Purtroppo, caro Francesco, la semplice denuncia senza proposta e azioni concrete non serve a nulla: in questo senso il mio amico Vescovo e in tante occasioni anche io, ma forse dovrei imparare di più da lui in questo senso, abbiamo scelto il “basso profilo”, non come intendi tu paura, cautela, diplomazia, “volemose bene”, “tarallucci e vino”. Lui ed io non abbiamo mai difeso piccoli interessi di parte o di bottega, abbiamo cercato di fare il nostro possibile: e se c’è stata qualche divergenza, è stata sui modi, non sulla sostanza sulla quale eravamo d’accordo: mai si è permesso di dirmi “pensa a fare il Parroco e lascia perdere l’Ospedale”, nemmeno per scherzo. Per questo ho detto: sarà la Storia a giudicare il suo operato, ma la storia, a questo punto, deve essere conosciuta tutta. Fraternamente,
Don Francesco Martino