L’innovativo “Piano del Cibo” stilato, probabilmente il primo caso in tutta Italia, dal Comune di Castel del Giudice, è stato tra gli argomenti trattati dal professore dell’UniMol, Luigi Mastronardi, nel corso della prima lezione del nuovo anno di formazione della Scuola dei piccoli Comuni di Castiglione Messer Marino.

L’economista agrario dell’Università del Molise, nel corso della sua relazione sul tema “Agricoltura e ruralità come valore ambientale, sociale ed economico“, ha citato, appunto, il caso virtuoso del piccolo centro montano dell’Alto Molise. Proprio Castel del Giudice, infatti, negli anni scorsi, si è dotato di un “piano del cibo“, vero strumento di programmazione e pianificazione della gestione del territorio, finalizzato principalmente al rafforzamento delle reti locali di produzione, all’aumento della consapevolezza alimentare di qualità nella comunità e ovviamente alla valorizzazione delle filiere locali.

«Non è affatto vero che i Comuni, soprattutto i piccoli Comuni, non possono fare nulla in materia di politiche locali legate alla produzione e all’accesso al cibo di qualità. – ha sottolineato il professore Mastronardi – Gli enti locali, anche e forse soprattutto quelli di montagna, dove c’è disponibilità di suolo agricolo coltivabile, possono invece adottare strumenti, da finanziare attraverso il piano di sviluppo rurale ad esempio, che vadano nella direzione della realizzazione di vere e proprie politiche alimentari locali».

Distretti del cibo, cooperative di comunità che producano cibi di qualità oltre ad altri servizi, sono solo alcuni degli esempi portati all’attenzione dell’uditorio dal professor Mastronardi. Idee, ma anche prassi concrete già realizzate, che hanno ancor più senso in quelle aree interne e periferiche dell’Appennino dove l’accesso al cibo da parte dei residenti è più problematico, sia in termini quantitativi che qualitativi. Filiere locali, produzioni a km zero che riducono anche l’impronta e l’impatto ambientale, possono essere strumenti strategici di rigenerazione delle aree interne, questo ha sostenuto Mastronardi, che studia queste questioni da decenni.

Il piano del cibo varato, già anni fa, dal Comune di Castel del Giudice, va proprio nella direzione di organizzare azioni ed attività per la riduzione degli sprechi alimentari, l’uso oculato del suolo, la tracciabilità dei prodotti, la valorizzazione della filiera delle produzioni locali, l’organizzazione di turismo esperienziale basato sulla capacità di innovazione e valorizzazione ambientale e la stessa tutela della biodiversità agroalimentare nel rispetto delle culture e tradizioni del luogo. Tutti obiettivi che il piccolo centro dell’Alto Molise ha raggiunto grazie ad una miriade di iniziative che spaziano dall’apiario di comunità, al birrificio agricolo, ai famosi meleti e a tutto ciò che ruota attorno a quelle produzioni locali e di elevata qualità.

«La ruralità e quindi l’agricoltura possono davvero generare socialità, economia sul territorio e tutela dell’ambiente. – ha sottolineato Rossano Pazzagli, docente dell’UniMol e direttore della Scuola dei piccoli Comuni – Puntiamo a vedere e valorizzare quello che c’è e che si può utilizzare in maniera sostenibile nelle aree interne dell’Appennino, senza soffermarsi su quello che non c’è. La crisi evidente del modello urbano offre una nuova possibilità di riscatto per i piccoli Comuni. E la tendenza è quella che va verso un nuovo protagonismo dei piccoli centri montani, che possono fare scelte, tracciare vie, mettere in campo visioni, con gli occhi del riscatto contro la marginalizzazione indotta da precedenti processi decisionali di tipo politico».

Oltre al “caso” virtuoso di Castel del Giudice, nel corso dei lavori, per la parte laboratoriale, la Scuola dei piccoli Comuni ha ospitato il Comune di Celenza sul Trigno, nel vicino Alto Vastese. Il sindaco Walter Di Laudo e l’imprenditore agricolo Antonio Antenucci, hanno spiegato e dimostrato come l’utilizzo sociale e comunitario di terreni riscattati da uso civico e tornati nella disponibilità dell’ente comunale hanno permesso l’avvio e il mantenimento in esercizio di diverse aziende agricole sul territorio. Terreni ormai inutilizzati da decenni che possono essere recuperati, ipotizzando magari un marchio “Prodotti della Montagna” per promuovere la biodiversità locale e gli alimenti forniti spontaneamente dalla natura, come tartufo, funghi, erbe officinali.

Esempi che possono essere banalmente ripresi anche dagli altri Comuni di zona, dove forse mancano le persone, ma non certo la disponibilità di terreni da mettere a coltura. Idee, spunti e riflessioni, quelle emerse nel corso della lezione inaugurale della Scuola dei piccoli Comuni, che mostrano che una via di rilancio e di rigenerazione delle aree interne è assolutamente possibile. La strategia è dunque quella di puntare sulla produzione di cibo del territorio come motore di sviluppo locale.
Francesco Bottone