LANCIANO – Braccata vs caccia di selezione. E’ questo il dibattito che anima e infiamma il mondo venatorio abruzzese in questi giorni, proprio mentre è in via di approvazione il nuovo Piano faunistico venatorio. Alcuni dati scientifici forniti dall’Atc Chietino-Lancianese sulla oggettiva efficienza del prelievo selettivo in riferimento al problema cinghiale ha causato, per reazione, una levata di scudi a difesa della braccata. I cosiddetti “cinghialai”, cioè i cacciatori di cinghiale in braccata, si sentono minacciati e temono che il nuovo piano faunistico venatoria sia oltremodo penalizzante nei confronti della caccia collettiva, preferendo invece tecniche di prelievo più efficienti e meno impattanti sul resto della fauna selvatica e sulle attività antropiche. Nel tentativo di fare chiarezza abbiamo chiesto un parere in merito a questo presunto scontro tra cinghialai e cacciatori di selezione a Corrado Di Nardo (primo da sinistra nella foto in alto, ndr), vicepresidente dell’Atc Chietino-Lancianese.
Corrado Di Nardo (Vicepresidente dell’ATC Chietino – Lancianese, ndr), concorda con Campitelli quando sostiene che la braccata potrebbe essere più incisiva se non fosse osteggiata e limitata da burocrazia e divieti?
«Penso che i problemi per la caccia in braccata e per la caccia in generale siano ben più gravi di quelli che rileva Campitelli. Molte cose stanno cambiando. Più in fretta di quanto si possa pensare. Il numero dei cacciatori italiani vede inesorabilmente ridurre ogni anno la sua consistenza e contemporaneamente aumenta l’età media di questi, con una prevalenza sempre maggiore di over 65enni. Questo ci deve imporre una riflessione profonda anche sul destino della caccia in braccata che, come è noto, richiede elevate capacità operative e un importante impegno fisico, perlopiù sostenibile da cacciatori non anziani e in buone condizioni fisiche. Si pensi alla conduzione delle mute dei cani, all’addestramento e allenamento di queste, e alla loro gestione annuale. Oppure, all’impegno che comportano il trasporto e la macellazione di numerosi cinghiali abbattuti. E ancora, al fatto che la braccata pesa sui suoi appassionati per tre mesi l’anno, tre giorni alla settimana, da mattina a sera. Tutte attività che richiedono grandi energie fisiche e mentali e molto tempo a disposizione. Rispetto a questo scenario oggettivo è necessario concentrare le energie affinché l’attuale quadro normativo regionale possa “aiutare” concretamente la caccia in braccata superando le attuali criticità. Come ATC Chietino – Lancianese abbiamo proposto alla Regione di impegnarsi, non appena sarà approvato il nuovo Piano Faunistico Venatorio Regionale, a modificare rapidamente l’attuale Regolamento regionale degli Ungulati su alcuni pochi e fondamentali punti, sui quali sarebbe auspicabile trovare l’appoggio di altri ATC, come il Vastese, affinché le istanze divengano più forti. Diversamente sarà difficile aiutare la braccata e rispondere in modo efficace agli ingenti danni provocati dal cinghiale. Danni che, ricordo, nell’ATC Vastese, di cui proprio Antonio Campitelli si trova nella difficile posizione di ricoprire il ruolo di presidente, hanno sfiorato 730 mila euro nel 2017 e 660 mila euro nel 2018 e rappresentano mediamente l’80% circa di tutti quelli della provincia di Chieti (fonte dati: Servizio Territoriale per l’Agricoltura Abruzzo Sud, ndr). Sono cifre, queste, di una vera e propria emergenza che mettono in evidenza alcuni aspetti su cui non si può più far finta di nulla: nell’ATC Vastese la braccata, da sola e come organizzata oggi, non riesce a far fronte all’incremento dei cinghiali e ai danni ingenti. Se, come avviene in tutte le regioni a nord dell’Abruzzo, a pagare i danni del cinghiale fossero direttamente gli ambiti territoriali di caccia con le proprie risorse e non più la Regione, probabilmente oggi non ci troveremmo qui a rispondere al presidente dell’ATC Vastese. Nell’ATC Chietino – Lancianese l’ottimo lavoro di gestione realizzato ha ridotto i danni da cinghiale di più della metà rispetto al 2014. Se il quadro normativo regionale dovesse cambiare attribuendoci l’indennizzo economico dei danni noi saremmo già in grado di sostenerlo, al contrario dell’ATC Vastese. Tutte queste criticità ci indicano, come ambiti territoriali di caccia, quale debba essere la strada per il prossimo futuro: cominciare a ragionare in termini inclusivi nelle diverse forme di caccia al cinghiale, non contrapponendo la caccia in braccata e la selezione che hanno una loro specifica e contestuale efficienza e favorendole entrambe; cooperare insieme su temi concreti e realizzabili nel breve periodo, senza “gridare al vento”, senza demagogia, come invece in troppi, oggi fanno. Il tutto con la consapevolezza che la caccia al cinghiale di domani, in tutte le sue forme, sarà diversa da quella che conosciamo oggi. Sicuramente praticata da un numero minore di cacciatori, più tecnica e specializzata».