Mentre il mondo si interroga su quanto l’intelligenza artificiale sostituirà il lavoro umano, c’è un luogo dove questa domanda non ha senso. Ad Agnone, le mani continuano a plasmare l’argilla e a dialogare con il bronzo esattamente come facevano nel Medioevo. Nessun algoritmo potrà mai replicare ciò che accade nella Fonderia Marinelli, l’azienda artigiana a conduzione familiare più antica del pianeta e la più longeva fonderia campanaria al mondo. Un patrimonio vivente che attraversa quasi mille anni di storia, ventisei generazioni di maestri fonditori, senza mai tradire la propria essenza.

«Lavoriamo come mille anni fa, con le stesse tecniche e gli stessi materiali. Non è cambiato niente», spiega Armando Marinelli, che insieme al fratello Pasquale porta avanti questa straordinaria dinastia, come ha raccontato alla collega Valeria Panigada di Moneta, inserto di economia di Libero e Il Giornale. Niente macchine, niente algoritmi, niente stampanti 3D. Solo gesti antichi tramandati di padre in figlio. La tecnologia è rimasta fuori dal portone di questo laboratorio sospeso nel tempo, e non ha scalfito un ciclo produttivo che può durare da tre-quattro mesi fino a un anno e mezzo per le campane più imponenti. Un tempo che nessuna automazione potrà mai comprimere. Ogni campana nasce dall’anima, la forma interna che ne determina le dimensioni. Da lì si procede con stratificazioni successive di argilla e cera, fino al mantello esterno. Un’attesa fatta di pazienza e precisione millimetrica, dove ogni fase è irreversibile. E quando arriva il momento della fusione, quello è il parto. Il momento in cui tutto può riuscire o fallire. Il getto del bronzo incandescente non è un semplice atto tecnico: è un rito sacro. Il parroco benedice la colata, si invoca la Madonna, si prega perché quella creatura di metallo venga al mondo perfetta. Il bronzo liquido scorre come lava, a oltre mille gradi, e in quell’istante si condensa il lavoro di mesi, l’esperienza di secoli. Come può un’intelligenza artificiale comprendere questo?

Nella “Sala del Paradiso“, dove centinaia di calchi in gesso ricoprono le pareti, si respira un’atmosfera unica. Fu un visitatore americano a battezzarla così: «Ci sono più santi qui che in Paradiso», esclamò stupefatto davanti a quella moltitudine di angeli, madonne e decorazioni. Ma quella sala custodisce la memoria delle mani che le hanno modellate, artigiani che continuano a parlare attraverso ogni bassorilievo, ogni voluta. Una campana Marinelli non è solo un oggetto: ha decorazioni uniche, pensate per quel committente specifico. E soprattutto ha una voce inconfondibile, capace di viaggiare per chilometri. «En ego campana nunquam de nuncio vana» – «Ecco io, la campana, non annuncio mai cosa vana», recita l’antica iscrizione latina. La perfezione acustica nasce dalla lega perfetta di rame e stagno purissimo, da proporzioni millesimali, da regole tramandate nei secoli. Non esistono campane identiche. Ogni suono è unico come un’impronta digitale.
Nei suoi quasi mille anni, la fonderia ha attraversato splendori e guerre, incendi e resurrezioni. L’unico periodo in cui tacque fu durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le campane vennero requisite per fonderle e ricavarne cannoni. Ma la fonderia ha sempre saputo rinascere. Il momento di massimo prestigio arrivò nel 1924, quando Papa Pio XI concesse alla famiglia il privilegio rarissimo dello Stemma Pontificio. Nel Museo Storico della Campana, ricavato sopra il laboratorio, si respira questa memoria stratificata. Oggi il mercato è cambiato. L’Italia costruisce sempre meno chiese, ma la voce delle campane Marinelli viaggia lontano: Stati Uniti, Africa, Asia. Circa quaranta campane di medie e grandi dimensioni all’anno. «Abbiamo finito da poco un lavoro in Vietnam e stiamo per consegnare una campana in Florida», racconta Marinelli. La vera sfida è trovare giovani disposti ad apprendere questo mestiere. Non si tratta solo di imparare una tecnica, ma di abbracciare uno stile di vita fatto di lentezza, precisione maniacale, dedizione assoluta.

«Spero in una inversione di tendenza e in una riscoperta di questi lavori. Credo che arriveremo a un apice di questa tecnologia per poi ritrovare quella che noi chiamiamo intelligenza artigianale», conclude Marinelli. Un sapere che vive nei silenzi del laboratorio, nei gesti misurati, nelle parole sussurrate tra maestro e apprendista. Un’intelligenza che non si scarica con un click ma si scolpisce nell’anima attraverso anni di pratica. La scuola potrebbe fare molto, restituendo dignità ai mestieri manuali, troppo spesso considerati una scelta di ripiego. Ma qui, ad Agnone, intelletto e mano sono la stessa cosa. E quando la prossima campana rintoccherà da un campanile lontano, sarà una Marinelli a farlo. Una voce che nel tempo della velocità predica pazienza. Che nel tempo delle serie predica unicità. Che nel tempo dell’artificiale celebra l’intelligenza artigianale: quella che nessun algoritmo potrà mai sostituire.