Si chiamano Kadema, Mande o Emmanuel. Vengono da paesi come il Gambia o il Senegal e hanno affrontato un viaggio di circa tre giorni per raggiungere l’Italia, alla ricerca di tranquillità. Vanno dai diciotto anni fino ai quaranta; per qualche giorno saranno lì, nell’hotel “Rifugio del Cinghiale”, immersi tra i monti castiglionesi dopo un breve soggiorno a Villa Santa Maria.
Noi abbiamo deciso di andarli a trovare e farci raccontare un po’ come si vive da rifugiato politico. In Italiano sanno dire ben poco ma parlano inglese fluentemente. Rifiutano telecamere e foto da vicino ma raccontano tutto anche se ogni tanto, prima di rispondere, consultano –per così dire – il più anziano della comitiva.
Parliamo perlopiù con Mande, trent’anni e un passato da maitre per un grande hotel, che ci svela il motivo della sua partenza: «In Africa centrale, non esiste la stabilità. Puoi avere il lavoro ma molto spesso non hai salva la vita. Ci sono guerriglie civili e i cittadini non sono tutelati». «It’s not safe», ripete Mande. Non è sicuro. Questo è il mantra che ogni tanto ripropone il ragazzo.
Insieme a lui ci sono altri otto o nove ragazzi che hanno deciso di venire nel cortile dell’albergo a dire la loro o, perlopiù, a vedere se c’è qualcosa da aggiungere. La maggior parte è ancora in camera a dormire. «Alcuni di loro sono musulmani e questo è il periodo del Ramadan dunque i ragazzi dormono di giorno e sono svegli di notte» fa sapere un membro dello staff dell’albergo ospitante, che alla domanda sul “come si comportano” risponde: «Magari fossero tutti così gli italiani».
Mande ha viaggiato per tre giorni direttamente dalla Libia fino alla Sicilia: «Ci siamo imbarcati in una situazione di emergenza. Saremo stati settecento» dichiara il giovane «Eravamo strettissimi, quasi stritolati e quando siamo arrivati a Pozzallo quarantacinque di noi erano morti» aggiunge rattristato. «È stato orribile. Nel tragitto fai amicizia e conosci altre persone. Ho visto morire di stenti amici che stavano viaggiando con i loro familiari o con altri amici».
Ci chiediamo: ma se è così brutto il tragitto, allora perché mettersi in viaggio?
Un po’ perché è il più spigliato, un po’ per il suo inglese perfetto è Mande che torna a rispondere: «Veniamo da un paese in cui, come dicevo prima, sono i diritti essenziali a non essere garantiti. Veniamo qui in cerca di una vita normale, tranquilla. Vogliamo trovarci un lavoro e magari mettere su famiglia».
Anche in Italia? Qui c’è pochissimo lavoro…
«Conosciamo i problemi dell’Italia. È vero di lavoro ce n’è poco ma non è come da noi. Qui almeno la vita è salva».
E cosa vorreste ottenere?
«Bé, come diceva Mande: una vita tranquilla» risponde un giovane che finora se n’era stato in silenzio. «Io ho una moglie e un figlio di due anni. Vorrei poter creare le condizioni per un’esistenza dignitosa. Mi piacerebbe riunirci tutti sotto lo stesso tetto, qui, dove si può vivere bene».
Siete in contatto con la vostra famiglia?
«Ci telefoniamo e gli diciamo tutto. Mia moglie sa che da Villa Santa Maria sono arrivato qui a Castiglione, che sto bene» risponde il giovane padre, anche lui una trentina di anni.
Villa Santa Maria e poi Castiglione: come state vivendo in Italia?
«Eravamo a Villa Santa Maria fino a domenica» attacca uno di loro «si stava bene lì. Eravamo a contatto con la gente. A Castiglione si sta benissimo, non fosse per il freddo. L’unica cosa che ci spiace è che qui siamo un po’ soli. Vorremmo conoscere il paese ed incontrare i cittadini».
Secondo voi, l’Europa potrebbe aiutare i vostri paesi evitandovi il viaggio che è così pericoloso?
«Certo che potrebbe» affermano in gruppo.
Tuttavia non lo fanno ed ora eccovi qua. Che direste agli Italiani?
«Italia rescued us. Thank you, guys»! ovvero: L’Italia ci ha salvato. Grazie, ragazzi!
Giovanni Giaccio
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