AGNONE – Pedofilia nella Chiesa: sacerdoti vittime o carnefici? Rapporti, limiti e collaborazioni tra diritto statuale italiano e diritto canonico nei casi di pedofilia. Il processo mediatico che, prima della giustizia, condanna i sacerdoti a prescindere, perché i preti pedofili fanno notizia. Sono alcuni dei temi trattati da don Francesco Martino, sacerdote e giornalista, chiamato a relazionare nel corso deontologico organizzato nei giorni scorsi, ad Agnone, dall’Ordine dei giornalisti del Molise. Una materia delicata e spinosa perché i casi di pedofilia all’interno della Chiesa sono sempre più frequenti e finiscono sempre di più sui giornali di tutto il mondo.
«Facciamo il caso di un sacerdote accusato di pedofilia. Il vescovo, appena riceve la denuncia, deve procedere ad un primo accertamento dei fatti, sentendo le parti in causa, ma deve agire con prudenza, verificando la fondatezza o probabilità dell’accusa che escluda la calunnia gratuita o la diffamazione del soggetto implicato. L’atto immediato che può, cautelativamente, porre in essere è l’allontanamento dall’ufficio e la destinazione in una comunità religiosa appropriata, dove il soggetto, invitato a preghiera e penitenza, possa confrontarsi anche con specialisti psicologi, psichiatri ed esperti in modo da fare luce sulla vicenda. Se il Vescovo accerta un qualche fondamento nelle accuse, procede ad una sospensione cautelare a divinis del sacerdote implicato, ed avvia il procedimento canonico relativo inviando gli atti e le indagini diocesane al tribunale ecclesiastico di competenza presso la Santa Sede istituito presso la Congregazione della Dottrina della Fede. La procedura canonica prevede il segreto sull’intero procedimento fino all’emissione della sentenza, per tutelare comunque sia i testimoni, sia l’imputato, sia la loro dignità, sia evitare la spettacolarizzazione mediatica degli eventi, evitando di esporre anzitempo alla gogna mediatica. In ogni caso, il Vescovo non è tenuto a denunciare il prete davanti all’autorità civile, in ragione anche di questa indicazione presente nella Scrittura nella Prima lettera ai Corinzi, cap. 6 versetti 1-11, in cui chiaramente si dice che liti tra i cristiani non devono essere affidate ai tribunali civili, ma risolte all’interno della comunità. Il Vescovo, se richiesto dal magistrato, trasmette il processo canonico e tutti gli incartamenti all’autorità civile solo dopo la sentenza definitiva di condanna, che diventa pubblica, non prima del giudizio definitivo. Un’ultima riflessione riguarda la deontologia professionale dei giornalisti: oggi esiste comunque un problema, che è quello dei social media. Molti blogger, tutti coloro che usano facebook, possono divulgare senza controllo notizie sugli abusi, a volte vere e proprie bufale, danneggiando irrimediabilmente l’onorabilità delle persone e dei sacerdoti coinvolti, perché l’opinione comune è ritenere gli uomini di Chiesa gente comunque losca, depravata e immorale. Purtroppo oggi l’opinione pubblica legge solo i titoli e reagisce scomposta solo a questi, basta vedere i commenti sui social. Un uomo di Chiesa oggi è senza difesa rispetto agli altri ad attacchi del genere: solo l’uscita della notizia non solo determina il processo mediatico, ma la condanna definitiva ed inappellabile pubblica, per cui la sua dignità è distrutta per sempre. Un sacerdote semplicemente sospettato o accusato di pedofilia come sacerdote è morto per sempre. Effettivamente la Chiesa paga le azioni dei suoi figli indegni, che danno scandalo, per i quali, come dice il Vangelo, è meglio mettere loro una macina al collo e gettali nel mare».