«Proiettili istituzionali» per commettere il crimine perfetto, un vero e proprio «omicidio professionale», ma senza spargimento di sangue. L’obiettivo era chiaro: mettere ai margini e chiudere la bocca ad un sostituto procuratore scomodo, che stava ficcando il naso in affari che avrebbero messo in luce lo stretto legame, la collusione tra politica, fino ai massimi livelli romani, e il malaffare, la criminalità organizzata. Di questo ha parlato Luigi De Magistris, ex pubblico ministero che ha osato iscrivere nel registro degli indagati addirittura il presidente del Consiglio dei ministri, nel corso di un pomeriggio “sovversivo” ad Agnone.
Evento culturale organizzato dal Centro studi Alto Molise, in collaborazione con i giovani della “Repubblica di Maiella” e il patrocinio del Comune. E’ arrivato in auto privata, una utilitaria, senza alcuna scorta, il dottore De Magistris, che da magistrato è stato titolare di inchieste del calibro di “Why Not” e “Poseidone“, quelle che hanno fatto tremare i palazzi del potere romano, perché ponevano all’attenzione dell’opinione pubblica i torbidi affari tra porzioni deviate dell’Autorità giudiziaria, pezzi dello Stato e delle istituzioni ai massimi livelli, lobby d’affari, criminalità organizzata e logge massoniche. Lo ha accolto il sindaco Daniele Saia, che nel corso del suo intervento di apertura, ha palesato i suoi sentimenti di apprezzamento di stima nei confronti di chi ha denunciato «la collusione tra potere politico corrotto e criminalità organizzata».
«E’ una sfida profonda, – ha aggiunto Saia – quella che ci consegna il dottore De Magistris, di chi va contro le torbide logiche che dominano molti settori della vita pubblica. La lotta contro il malaffare e per la legalità è un dovere non solo dei magistrati, ma del singolo cittadino. Perché legalità e giustizia sociale sono i pilastri del nostro Paese democratico». Poi subito la parola all’autore del libro “Fuori dal sistema“, intervistato dalla dirigente scolastica Ida Cimmino e dal giornalista Nicola Mastronardi.
E De Magistris ha raccontato gli anni durante i quali i «giudici ragazzini» come ebbe a definirli con disprezzo l’allora presidente della Repubblica Cossiga, giovanissimi magistrati come lui, andarono a scuotere la polvere dai faldoni delle Procure del Sud Italia, dove la criminalità organizzata, le lobby e la politica, con la complicità delle logge massoniche, facevano affari e gestivano fiumi di denaro pubblico sotto il naso degli investigatori distratti.
«La Ndrangheta arriva ovunque e non ha più bisogno di fare attentati, perché ha capito che il tritolo e il sangue scuotono le coscienze e portano i giovani in piazza a protestare. – La criminalità organizzata arriva ovunque, a tutti i livelli istituzionali e di potere politico. E quando insieme ad altri giovani sostituti procuratori abbiamo indagato sull’oligopolio che gestiva un fiume di denaro pubblico, basato su uno stato di emergenza permanente che permetteva, a sua volta, di operare in regime di commissariamento, cioè derogando alle normative ordinarie sull’affidamento degli appalti, hanno deciso di farci saltare. Lo Stato non si fa processare, statene certi e dunque i ladri di Stato mi hanno fatto saltare, mi hanno tolto la toga per incompatibilità ambientale e funzionale».
In sostanza lo Stato, il Ministero della Giustizia, il Csm, cioè il Consiglio superiore della Magistratura al cui vertice c’era Giorgio Napolitano, ha deciso che il dottore De Magistris non avrebbe dovuto più fare il pubblico ministero, perché non era e non voleva essere organico al “sistema” appunto. Un evidente tentativo di sabotare l’azione penale obbligatoria, perché in Italia la legge è uguale per tutti solo sulla carta e nelle iscrizioni bugiarde che campeggiano nelle aule dei tribunali.
«Il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi» dichiarò all’epoca Luca Palamara, presidente dell’associazione nazionale magistrati. Il “sistema” non tollerava che si potessero fare indagini penali su persone organiche a quel “sistema” e lì scattò il corto circuito istituzionale, una sorta di golpe, la famosa «guerra di Procure» di cui parlò Napolitano tentando di depistare l’opinione pubblica rispetto a quello che stava realmente accadendo.
«Dichiararono che io ero il “cigno nero”, l’elemento che avrebbe far potuto saltare tutto il sistema di affari. Per questo mi hanno fatto fuori dalla Magistratura, ma da quel preciso istante ho deciso che sarei stato il loro incubo peggiore» ha dichiarato senza timori di essere incriminato l’ex magistrato. «C’è gente che non si fa comprare, che non ha prezzo. – ha aggiunto Luigi De Magistris – E non date retta a chi vorrebbe farvi credere che le cose non possono cambiare e non cambieranno mai. Certo il cambiamento dall’alto, dai vertici istituzionali, non arriverà mai, è ovvio; invece il cambiamento può avvenire dal basso, dal popolo, dalla base, dalle piazze».
E tutto il resto della sua vita, dopo la fase in magistratura, è stata la testimonianza di questa lucida follia di voler cambiare le cose scuotendo le coscienze. Da sindaco, quando scriveva e firmava le delibere «costituzionalmente orientate», da fondatore di movimenti arancioni di cittadini, da europarlamentare, tutta l’azione politica e amministrativa di de Magistris è stato un continuo tentativo di contribuire a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini».
E’ il secondo comma dell’articolo tre della Costituzione repubblicana, quella legge suprema dello Stato che «è inapplicata, anche nella parte dei principi fondamentali, almeno per il settanta per cento». «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. – ha ripetuto a memoria il dottore De Magistris – E la repubblica siamo anche noi. Il potere politico non lo farà mai, non rimuoverà quegli ostacoli, perché il potere non vuole il diritto come tale, ma come concessione. Se il potere politico ti “concede” un diritto, ti chiede in cambio qualcosa. Allora spetta a noi farlo, non possiamo essere indifferenti. Perché è esattamente là che ciascuno di noi fa la rivoluzione, nel passare dalla legalità alla giustizia».
Francesco Bottone