Mancano 23 giorni. Ventitrè giorni al collasso di un sistema sanitario già al limite, ventitrè giorni prima che il reparto di Medicina dell’ospedale Caracciolo perda tre medici pensionati che da febbraio tengono in piedi un servizio essenziale. La data cerchiata in rosso sul calendario è il 20 dicembre, ma qualcuno a Roma o nei palazzi della sanità regionale sembra aver deciso che il Natale in Molise quest’anno si festeggerà senza il diritto alla cura. Perché è di questo che stiamo parlando: del diritto costituzionale alla salute che sta per essere cancellato in un’intera area dell’alto Molise, Vastese e Sangro. Non è allarmismo, è aritmetica. Tre contratti scadono, tre medici vanno via, e il reparto rischia di chiudere. E con esso, la possibilità per migliaia di cittadini di ricevere assistenza in tempi ragionevoli e a distanze umane.

Ma c’è dell’altro, e qui la situazione sconfina nel grottesco. Anche il Pronto Soccorso di Agnone balla sullo stesso filo sottile. Altri tre medici, anche loro con contratti a termine siglati dall’Asrem per “garantire l’emergenza-urgenza” su un territorio di oltre 30mila abitanti, si trovano nella stessa identica situazione: scadenze imminenti, nessuna certezza, nessun piano B. Viene da chiedersi: come si garantisce l’emergenza a tempo determinato? Esiste forse un’emergenza sanitaria che rispetta il calendario contrattuale? I cittadini dell’alto Molise dovranno forse evitare infarti e ictus dopo il 20 dicembre, giusto per non creare imbarazzi burocratici? Il paradosso è talmente evidente da sembrare una barzelletta macabra. Se non fosse che qui non si ride: si rischia la vita. Le festività natalizie, che dovrebbero essere un momento di serenità, rischiano di trasformarsi nel banco di prova definitivo di un sistema al collasso. Senza medici, senza un piano, l’ospedale Caracciolo – che già oggi non brilla per efficienza – potrebbe diventare poco più di un presidio infermieristico.

Ieri, mentre la conta alla rovescia continuava inesorabile, il primo cittadino di Agnone, Daniele Saia, con una delegazione del Pd e del M5S regionale, ha incontrato a Roma Walter Bergamaschi, direttore generale della programmazione al Ministero della Salute, e già direttore generale dell’Ats di Milano. Sul tavolo, le difficoltà del nuovo Piano operativo sanitario (Pos) che dovrebbe ridisegnare la sanità molisana.
Saia ha presentato le sue rimostranze, ha chiesto dignità per un territorio che non vuole essere trattato come un cittadino di serie B rispetto al resto d’Italia. Bergamaschi ha ascoltato con attenzione, ma attenzione non è soluzione. E nel frattempo, il 20 dicembre si avvicina.

E allora sorgono spontanee una serie di interrogativi che meritano risposte immediate, non chiacchiere da conferenza stampa. Perché si è aspettato fino all’ultimo momento per affrontare una scadenza nota da mesi? Quali garanzie ha ricevuto realmente la delegazione molisana da Bergamaschi e dal Ministero? Esiste un piano di emergenza per il 21 dicembre, o ci si affiderà alla buona volontà di medici stremati da turni insostenibili? E soprattutto: fino a quando i cittadini del Molise dovranno pagare il prezzo dell’inefficienza, della mancanza di programmazione, dell’indifferenza di chi governa la sanità?
La questione non è solo molisana, è nazionale. Perché se accettiamo che in alcune aree del Paese il diritto alla salute sia negoziabile, che i contratti dei medici scadano senza essere rinnovati, che gli ospedali chiudano nel silenzio generale, allora stiamo accettando che esistano cittadini di serie A e cittadini di serie B.
E domani, quando toccherà a un’altra regione, a un altro ospedale, a un altro reparto, non potremo dire che non lo sapevamo. Perché il 20 dicembre, ad Agnone, qualcuno avrà già scritto la sceneggiatura di come si smantella un sistema sanitario pubblico senza sparare un colpo. Il conto alla rovescia è iniziato. Qualcuno ha intenzione di fermarlo?