L’Alto Molise si sta spegnendo in silenzio, un territorio che muore a pezzetti mentre le istituzioni guardano altrove. Due notizie dell’ultimo mese fotografano con spietata precisione l’agonia di un’area montana che le politiche nazionali e regionali hanno condannato all’irrilevanza: il settimo anniversario della chiusura del viadotto Sente-Longo e la riconversione dell’ospedale Caracciolo di Agnone in un semplice presidio di comunità. Non sono fatti isolati, ma i sintomi terminali di una strategia che ha trasformato l’abbandono in sistema, lo spopolamento in destino inevitabile.

L’isolamento infrastrutturale come condanna – Il 18 settembre 2018 si chiudeva il viadotto Sente-Longo, arteria vitale che collegava l’Alto Molise con l’Alto Vastese. Sette anni dopo, nonostante le promesse del ministro Matteo Salvini, quella cicatrice di cemento continua a dividere due territori, trasformando ogni spostamento in un’odissea e ogni legame sociale in un ricordo. Non si trattava di un semplice ponte, ma di un cordone ombelicale che nutriva economie, famiglie, speranze di futuro.Le perizie avevano rivelato problemi strutturali alle pile 3 e 7, ma dietro quella chiusura si nasconde una verità più amara: quando le aree interne smettono di essere strategiche, anche la manutenzione ordinaria diventa un lusso. Ad Agnone le iscrizioni scolastiche calano, a Belmonte del Sannio e Castiglione Messer Marino le saracinesche si abbassano una dopo l’altra. Il viadotto chiuso non è solo un problema di mobilità, è il simbolo tangibile di come lo Stato abbia voltato le spalle ai suoi territori più fragili.

La sanità che se ne va: dall’ospedale al presidio – L’ultima, atroce, beffa arriva dalla riorganizzazione sanitaria regionale, dove il commissario Marco Bonamico ha messo nero su bianco la morte clinica dell’ospedale Caracciolo di Agnone. Nei documenti ufficiali trasmessi al Ministero della Salute non c’è spazio per interpretazioni: il presidio sarà “riconvertito in ospedale di comunità” con soli 20 posti letto, un punto di primo intervento e servizi ambulatoriali ridotti. La motivazione: costi eccessivi (9 milioni di euro annui) a fronte di una produttività ritenuta insufficiente (2,4 milioni). I numeri parlano di 388 ricoveri ordinari nel 2024, scesi a 80 nei primi quattro mesi del 2025. Ma dietro questi freddi calcoli si nasconde l’ennesimo tradimento verso chi ha scelto di rimanere in montagna. Il sindaco Daniele Saia ha minacciato lo sciopero della fame, gesto estremo che racconta meglio di ogni statistica la disperazione di chi vede scomparire l’ultimo presidio sanitario in un raggio di decine di chilometri.

Il laboratorio della desertificazione – L’Ambito sociale di zona di Agnone, che comprende 12 comuni montani, registra un indice di invecchiamento del 372%: per ogni giovane sotto i 15 anni vivono 3,72 persone con più di 65 anni. È il dato più alto non solo del Molise, ma probabilmente dell’intera penisola. Il Piano sociale regionale 2025-2027 certifica quello che gli abitanti sanno da tempo: questo territorio è diventato un laboratorio involontario della crisi demografica italiana.La mancanza di giovani non è solo un problema statistico, ma una condanna economica: senza ricambio generazionale, le attività produttive si riducono, l’innovazione scompare, il commercio agonizza. Uno studio del centro ricerche sociali della Chiesa ha previsto il completo spopolamento della montagna molisana entro il 2040. Non è una profezia, ma una proiezione basata su dati che raccontano di un territorio sistematicamente depredato dei suoi servizi essenziali.
L’abbandono come strategia – La chiusura del viadotto e il declassamento dell’ospedale non sono incidenti di percorso, ma scelte politiche precise che rispondono a una logica spietata: concentrare risorse e servizi nei centri urbani maggiori, lasciando che le aree interne si svuotino naturalmente. Il commissario alla sanità parla di “scenari aperti”, ma i documenti che lui stesso ha firmato certificano decisioni già prese. È la retorica dell’inganno applicata alla gestione del territorio.In un recente passato c’è stato un sussulto da parte dei commercianti di Agnone che all’ennesimo taglio misero in atto una protesta simbolica: serrande abbassate e cartelli con la scritta “Questa attività si vende”. Franco Di Nucci, responsabile della Confcommercio locale di allora, sintetizzò la situazione con parole che suonavano come un epitaffio: “Non ci resta che mettere il paese in vendita ed emigrare”.

La fuga dei cervelli come conseguenza – In questo deserto di opportunità, la fuga dei giovani diventa l’unica strategia di sopravvivenza individuale. Chi può studia altrove e non torna, chi rimane vede ridursi ogni anno le possibilità di costruire un futuro dignitoso. Il viadotto chiuso complica anche i percorsi degli studenti provenienti dall’Abruzzo, l’ospedale declassato toglie sicurezza alle famiglie, la mancanza di servizi rende ogni scelta di vita più difficile.Il risultato è una spirale demografica che si autoalimenta: meno abitanti significano meno servizi, meno servizi generano ulteriore spopolamento. L’Alto Molise è diventato l’esempio perfetto di come politiche miopi possano trasformare territori ricchi di storia e tradizioni in zone fantasma in pochi decenni.

Verso l’estinzione programmata – Sette anni di attesa per un ponte, la trasformazione di un ospedale in ambulatorio, un indice di invecchiamento da record mondiale: l’Alto Molise è diventato il manifesto di un’Italia che ha smesso di credere nelle sue periferie. Ogni giorno che passa non è solo attesa, ma perdita irreversibile: giovani che emigrano, competenze che scompaiono, tessuto sociale che si sfilaccia. Le promesse della politica si moltiplicano a ogni elezione, ma i fatti raccontano di un abbandono programmato che procede con la precisione di un cronometro. Mozioni, fondi annunciati, visite ministeriali: tutto rimane sulla carta mentre la realtà procede verso un’estinzione che sembra ormai matematicamente inevitabile. L’Alto Molise muore in silenzio, e lo Stato continua a guardare dall’altra parte.
mdo