«Il 14 agosto di cinque anni fa il Ponte Morandi crollava causando una ferita dolorosa e non dimenticabile. Ora come allora, con il cuore a Genova». E’ il post pubblicato sui canali social dal Dipartimento nazionale della Protezione civile (da cui la foto in apertura, ndr). Il doveroso ricordo di una tragedia a causa della quale persero la vita diverse decine di persone. Quel ponte venne poi ricostruito ed è oggi pienamente funzionante.
E l’anniversario del crollo di Genova rilancia e precede, appena di qualche giorno, anche il quinto anniversario della chiusura al traffico per un presunto «imminente rischio crollo» di un altro ponte, divenuto quasi più famoso del primo, quello che collegava l’Alto Molise e l’Alto Vastese, due province e due regioni. Il viadotto “Franceso Paolo Longo“, così si chiama il ponte tra i più alti d’Europa, opera dell’intelletto umano e dell’ingegneria, battente bandiera democristiana, che permetteva in pochi minuti di raggiungere l’Alto Molise e Agnone partendo dall’Alto Vastese, da Castiglione Messer Marino, transitando per il territorio comunale di Belmonte del Sannio.
Poi il crollo a Genova, qualche scossetta di terremoto in Molise e l’allora presidente della Provincia di Isernia, Lorenzo Coia, con la “complicità” di qualche illuminato assessore, pensò di fare una sorta di sveltina: chiudiamo al traffico il viadotto per rischio crollo, il Governo tirerà fuori i soldi sia per il ponte Morandi di Genova che per il Longo di Belmonte del Sannio. Il geometra della Provincia pentra, ente gestore dell’imponente struttura viaria, si affrettò a firmare l’ordinanza di chiusura al traffico veicolare e pedonale per un «imminente rischio crollo» messo nero su bianco da un ingegnere esterno all’amministrazione provinciale.
I fatti andarono diversamente da quanto auspicato dal presidente Coia: il Morandi è stato ricostruito da zero ed è già in esercizio da tempo, il Longo, altrimenti detto ponte Sente, attende ancora che Anas e Provincia di Isernia sottoscrivano un fantomatico accordo, una convenzione con il competente Ministero delle infrastrutture e trasporti. Insomma, la “sveltina” ipotizzata da Coia e da qualche suo assessore di fiducia non è affatto riuscita, perché il Governo centrale, da allora, ha tirato fuori solo i famosi due milioni di euro, già abbondantemente spesi, messi sul piatto dall’allora ministro Toninelli.
Il vice premier Salvini, in campagna elettorale, è venuto a spergiurare all’imbocco del ponte lato Belmonte, che entro la prossima estate il viadotto sarà riaperto al traffico. Manca però la materia prima, i soldi: il quadro economico ammonta a circa quindici milioni e ottocentomila euro; anche se sempre lo stesso ministro Salvini ha annunciato alle osannanti popolazioni altomolisane che i primi fondi già sono stati stanziati, sette, otto o addirittura dieci milioni di euro, il famoso “tesoretto” di cui parlava un candidato leghista, puntualmente non eletto. Il tesoretto ammonterebbe a sette milioni, ne serviranno altrettanti, se non di più, per consentire all’Anas di mettere in sicurezza l’intero viadotto, e non soltanto le pile ruotate come ipotizzato in un primo momento.
Dal comizio di Salvini in favore di telecamere tutto è rimasto fermo come il viadotto chiuso al traffico. Non è dato di sapere se l’iter burocratico propedeutico all’avvio degli interventi vada avanti o si sia impantanato. Solo nei giorni scorsi il portavoce del comitato per la riapertura del ponte, Giorgio Iacapraro, aveva sollecitato un incontro in Provincia con il presidente Alfredo Ricci finalizzato proprio a conoscere il cronoprogramma. Secondo lo stesso Iacapraro, che parla però di «fonti ufficiose», «la convenzione con il Ministero pare sia bloccata in riferimento alla somma di denaro disponibile». Indiscrezioni, appunto, rispetto alle quali Iacapraro ha chiesto e sollecitato un chiarimento ufficiale al presidente Ricci. L’udienza in Provincia, al momento, non è stata ancora concessa.
Francesco Bottone