Si è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, della infestazione di trichinella nelle carni dei cinghiali. La trichinella è un nematode in grado di infestare animali e uomo attraverso il consumo di carni crude e poco cotte. Un fatto di cronaca riferibile al Piemonte, con alcune decine di persone contagiate dal parassita, per aver mangiato alcuni salumi evidentemente prodotti con carni non controllate, ha scatenato una sorta di una sorta di psicosi trichinella in tutta Italia. Allarme seccamente ridimensionato proprio dall’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta che in un opuscolo pubblicato on line precisa che «nel corso degli ultimi quattro anni, l’Istituto Zooprofilattico ha effettuato oltre 81mila esami per la ricerca di trichinella in cinghiali cacciati e sono state riscontrate tre positività in Piemonte, una nel 2016, una nel 2017 e una nel 2019». Tre positività in quattro anni su 81mila campioni analizzati, praticamente una percentuale di positività prossima allo zero, che comunque non deve far abbassare la guardia. «Il riscontro seppur occasionale di animali positivi – spiegano infatti gli esperti dell’Istituto Zooprofilattico – conferma l’importanza di proseguire i controlli per la ricerca di trichinella in modo sistematico e capillare nelle carni di tutti i suidi selvatici cacciati o abbattuti». E infatti in tutta Italia per quanto riguarda le carni dei cinghiali abbattuti a caccia è obbligatoria la ricerca di larve di trichinella. Le carni di cinghiale devono essere consumate solo successivamente all’esito dell’esame per la ricerca e solo dopo completa cottura. Tra l’altro la normativa vigente prevede l’obbligo dell’esame trichinoscopico anche sulle carni di equini e suini macellati in macelli riconosciuti o a domicilio, anche per uso privato.
LEGGI L’OPUSCOLO QUI