VASTO – Braccata contro selezione; nuovo piano faunistico venatorio penalizzante, anche se non sta scritto da nessuna parte, nei confronti della braccata; cinghialai segugisti incazzati con i colleghi cacciatori di selezione, con i capisquadra che ora minacciano di fare sciopero non andando più a caccia; nel mezzo i tecnici faunistici che snocciolano dati incontrovertibili e la Regione Abruzzo che con l’assessore alla Caccia, Emanuele Imprudente, deve cercare di dare risposte sì ai cacciatori, ma soprattutto agli abruzzesi, rispetto all’emergenza cinghiali. Questo lo scenario che si vive in questi giorni in Abruzzo. In questo caos mediatico di dichiarazioni e prese di posizione, interviene, tirato per la giacca, il presidente regionale della Libera Caccia e dell’Atc Vastese, Antonio Campitelli. Da abile politico, è infatti amministratore locale oltre che navigato dirigente venatorio, non entra nel merito delle questioni, ma preferisce fare il romantico, parlando alla “pancia” dei cacciatori, o se si preferisce al loro cuore, più che al loro cervello.
«In questa nuova querelle sulla questione cinghiale, che mi chiama in causa personalmente, – spiega infatti Campitelli – potrei replicare enunciando i dati sugli abbattimenti dell’Atc Vastese, che sono di diverse centinaia maggiori di quelli dell’ATC Chietino – Lancianese; potrei replicare che i risultati di un solo ATC su undici a livello regionale, non sono “regola” che può essere considerata legge per tutti gli altri; potrei fare considerazioni sulla stima dei danni, dicendo che dal mio insediamento sono sensibilmente diminuiti, e che in ogni caso, per essere responsabili dei danni rilevati sul territorio dell’Atc, dovremmo anche essere resi compartecipi di tutto il processo per arrivare alla stima del danno stesso. Cioè essere coinvolti in tutto il procedimento, dalla richiesta d’intervento, passando per richiesta di danno, sopralluoghi, perizie e stime dei danni… ma così non è. Potrei dire che le considerazioni effettuate dal vicepresidente dell’ATC Chietino – Lancianese, sulla questione relativa all’ipotetica gestione dei danni da parte degli ATC, mi lasciano alquanto perplesso, visto che, tra le osservazioni pervenute al piano faunistico venatorio, proprio l’ATC Chietino – Lancianese chiede che i danni vengano gestiti dagli ATC, unico ATC in Abruzzo che chiede di accollarsi i danni. – ribatte polemicamente Campitelli – Potrei dire che, essendo anch’io amministratore di un ente, ed avendo abbastanza dimestichezza con dati e numeri, i bilanci degli ATC regionali, allo stato attuale delle cose, non basterebbero a coprire nemmeno parte delle stime dei danni, decretando così il fallimento degli ambiti stessi. Potrei dire questo e tanto altro, ma siccome prima che amministratore e presidente regionale di un’associazione venatoria (Libera Caccia, ndr), sono soprattutto un cacciatore, dico che mi sento svilito ed umiliato ad essere assimilato ad uno sterile numero. Nelle dichiarazioni sullo “sforzo” di caccia, il cacciatore viene paragonato ad una “unità produttiva”, la quale deve essere efficientata tramite strategie manageriali ed ottimizzazione del rendimento produttivo. Ci si paragona a “macchine da caccia“, calcolando meticolosamente la nostra età media e l’indice di fatica che sosteniamo in base alla tipologia di caccia. Siamo diventati dei modelli di studio statistico e dei “produttori di abbattimenti”, al posto di essere considerati per quello che siamo… dei cacciatori. Sarò un po’ dèmodé, – aggiunge romanticamente il presidente della Libera Caccia – ma a me piace ancora pensare alla caccia come una passione, un’arte, un’attività in cui vivere delle emozioni. Se tutto questo dev’essere soppiantato da cifre con tanto di virgole, percentuali, equazioni, calcoli statistici, significa che tuttavia ho fatto bene, da cacciatore in primis, ad astenermi da ormai tre anni dal praticare la caccia al cinghiale. A me piacerebbe parlare del “piacere di caccia”, più che di uno “sforzo”. E posso sicuramente dire senza timore di smentita, che coloro che praticano la caccia collettiva in braccata, lo fanno per puro piacere e per vivere quelle emozioni che la stessa trasmette.
Per la caccia di selezione invece, sappiamo benissimo che per molti è effettivamente uno “sforzo” che si fa per adempiere a ciò che la normativa vigente prevede. Nulla in contrario a chi questa forma di caccia la pratica con passione e soddisfazione, al pari della braccata, ma non credo possa essere messo in dubbio che la maggioranza dei cacciatori di selezione, non trovano sicuramente il “piacere” che riscontrano nella caccia collettiva. Quando qualche anno fa, in vista dell’entrata in vigore dell’attuale regolamento regionale per la caccia al cinghiale, mi feci orgogliosamente portavoce di tante squadre che non lo condividevano, fino ad astenerci dell’iscrizione delle squadre stesse per una stagione venatoria, lo feci soprattutto perché intravedevo in quel regolamento la “burocratizzazione” della caccia al cinghiale, e l’attuale situazione dimostra che non mi sbagliavo affatto. Ad oggi, sia per dare l’esempio come rappresentante associativo, sia per coerenza rispetto a ciò per cui ho lottato, continuo ad astenermi dal praticare la caccia al cinghiale, – chiude Campitelli – perché credo sia l’unico modo per far sì che si possa tornare ad avere la giusta considerazione ed interlocuzione con la parte politica che deve dar seguito ad alcune decisioni sulla nostra categoria. Io di lavoro in cui devo timbrare un cartellino ad orari specifici, e rendere conto della mia produttività, ne ho già uno… a chi vorrebbe appiopparmene un altro, dico semplicemente “no grazie”».