La Caritas diocesana di Trivento è impegnata anche per contrastare lo spopolamento delle aree interne, che genera crisi nelle comunità. Accade nella diocesi di Trivento, tra Molise e Abruzzo, un territorio depresso con 40 paesi destinati a scomparire entro il 2040. Ne ha parlato oggi don Alberto Conti, direttore della Caritas di Trivento e parroco di Castelguidone (Chieti), durante la tavola rotonda al 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso dal 17 al 20 aprile a Salerno.
«Presto verrà meno anche la presenza dei parroci, che sono ancora un punto di riferimento per la gente che vive sulle montagne – ha raccontato -. Spero che la Chiesa non si lasci convincere dalla logica dei numeri come stanno facendo le istituzioni». La Caritas si occupa dello spopolamento perché nell’articolo uno del suo Statuto si dichiara di «promuovere la testimonianza della carità in forme consone ai tempi e ai bisogni».
«Le comunità sono importanti per evitare il degrado – ha sottolineato don Conti -. Il rapporto tra le persone, la capacità di andare oltre la logica familistica è la prima condizione per uscire dal disagio sociale e civile. La mia esperienza mi dice che la politica può essere un fattore di aggregazione ma se manca ai suoi compiti può essere fattore di disgregazione». Purtroppo, ha proseguito, «se ne vanno le persone più attive, con più capacità di iniziativa, quelle che potrebbero cambiare le cose». La Chiesa ha svolto il suo ruolo di denuncia sociale ma non basta.
«La scuola, la sanità sono presidi importanti – ha affermato – altrimenti si creano crimini contro l’uguaglianza. Se persone che vivono in uno stesso Stato sono diverse solo perché vivono in zone diverse è il tradimento della nostra Costituzione e del Vangelo». Per contrastare il fenomeno la diocesi ha creato anche una scuola di formazione all’impegno sociale e politico destinata ai giovani e intitolata al giudice Paolo Borsellino. «Oggi i mali peggiori sono la solitudine, l’indifferenza e la rassegnazione – ha aggiunto -. Una volta non era così, tutti si sentivano sostenuti dalla comunità. L’azione pedagogica fa parte della nostra esperienza quotidiana. Se tutti facciamo la nostra parte cresce lo spirito comunitario e non ci sarà più bisogno di eroi o di azioni esemplari».
FONTE AGENSIR