AGNONE – Franco Paolantonio, primario in pensione di Anestesia, le ha definite all’avanguardia e sotto il profilo strutturale le migliori in provincia di Isernia. Peccato che le due sale operatorie del San Francesco Caracciolo, restano desolatamente chiuse.
Paolo Frattura, presidente della giunta regionale, Mauro Pirazzoli, direttore generale dell’Asrem, Giuseppina Arcaro, direttore sanitaria Asrem, in una visita istituzionale ad Agnone, datata 6 febbraio scorso, avevano promesso la pronta riapertura.
Ristrutturate causa infiltrazioni di acqua e con un nuovo sistema di refrigerazione, sono off limits dal mese di dicembre dello scorso anno, quando i tecnici della Asrem di Campobasso decisero di stoppare tutti gli interventi chirurgici. Da allora sono passati la bellezza di sei mesi e malgrado proteste, appelli da parte di utenza, denunce dei comitati, personale medico e amministrazione comunale, ancora non si capisce il perché della mancata riapertura. In Paesi come la Cina o il Giappone in sei mesi si realizzano grattacieli, autostrade e porti, in Molise, rachitica e inutile regione del Mezzogiorno d’Italia, governata da improvvisati politicanti, riaprire due sale operatorie diventa un’impresa quasi impossibile. A parlare i fatti. Una realtà che calpesta i diritti di un’area già alle prese con la mancanza di posti di lavoro, viabilità disastrata, servizi soppressi, spopolamento, aumento di tasse e chi più ne ha più ne metta. Ma cosa c’è dietro la mancata riapertura delle due sale operatorie del Caracciolo? A pensar male si fa peccato ma il più delle volte si indovina. E in questa circostanza la prima cosa a cui si pensa è l’attuazione di un disegno diabolico già noto alle cronache.
Ovvero allontanare pazienti dal Caracciolo per decretarne la chiusura definitiva. Don Francesco Martino, direttore della pastorale sanitaria della diocesi di Trivento, strenuo difensore della struttura sanitaria di frontiera, in tempi non sospetti parlò di morte per consunzione, che tradotto significa lenta ma inesorabile agonia. Quello che oggi purtroppo si sta verificando con il venir meno di servizi essenziali. Per avere contezza di quanto detto, basta un semplice giro in quello che resta del reparto di Chirurgia, dove ai 55 posti letto degli anni ’80 non sono rimaste che 8 “brandine”, il più delle volte semi vuote. Pensare di tenere aperto un reparto con simili numeri è da folli e al tempo stesso da incoscienti. Tornando alle sale operatorie oggi, ci dicono, che il problema principale è quello di sanificare gli ambienti. Dopodiché si potrà tonare ad eseguire interventi chirurgici. Ma sui tempi dell’operazione nessuno si esprime. Forse passeranno altri sei mesi, il tempo con il quale in Cina o Giappone costruiranno altri grattacieli, autostrade e porti. Così tornano alla mente le promesse sull’area disagiata, sull’accordo di confine con l’Abruzzo, sul Pronto soccorso h24 e sulla miriade di balle, che una classe politica inefficiente continua a promulgare senza alcun ritegno pensando di parlare agli aborigeni.
Maurizio d’Ottavio