La Toscana è l’unica regione che può vantare una forma tradizionale di caccia collettiva al cinghiale. Purtuttavia, la specie provoca problemi (di compatibilità con il mondo agricolo) anche lì. E’ la dimostrazione che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella gestione italiana del cinghiale, che trova ragione principalmente nella l. 157/1992 (o meglio, nella 968/1977 e nella anteriore riforma venatoria del 1967), pensata per un prelievo casuale di piccola selvaggina in epoche di caccia popolare lungo campagne ancora in buona salute e giammai buona per gli ungulati (ma ormai non è buona più a nulla). Nel 1977 iniziano anche i primi ripopolamenti a scopo venatorio del cinghiale, quindi è ovvio che quel legislatore non aveva alcuna idea di cosa potesse accadere nel futuro. E non è certo colpa dei reintrodotti “cinghiali ungheresi“, posto che in Ungheria, dove i cinghiali arrivano davvero a 300 kg e dove l’economia è prevalentemente agricola, nessun agricoltore ha mai avuto la necessità di scendere in piazza a protestare contro i danni: evidentemente tutto dipende dalla gestione venatoria. E nemmeno la questione è collegata dl numero dei prelievi, come si lascia immaginare oggi nella totale ignoranza dei nostri loquaci amministratori. Forse bisognerebbe copiare all’Ungheria o alla Germania (in quest’ultimo paese si abbattono più di un milione di animali più o meno con gli stessi principi da qualche centinaia di anni, e pare che non esista alcuna emergenza cinghiali), piuttosto che alla Toscana.
E, infatti, la nuova legge che non parla la lingua di Dante, è meno che buona, anzi pessima e deteriore. Non mi stupirebbe, dunque, che l’amministrazione regionale abruzzese di settore vi si prodigasse con un lungimirante copia-incolla, dimostrando per l’ennesima volta l’incapacità e la non volontà di occuparsi correttamente e compiutamente della caccia.
La legge toscana accomuna gli ungulati tutti all’interno di un contesto emergenziale e di danno che non è riferibile in maniera analoga giammai per tutte le specie. Anche il muflone è stato ignorantemente pensato quale determinatore di danni come il cinghiale. Reitera, ancora, la distinzione obsoleta ed insopportabile fra aree/zone vocate e non vocate e la loro ascrizione all’interno di strumenti di pianificazione. Sconosce lo strumento del prelievo qualiquantitativo, in funzione della tendenza del piano di prelievo in maniera da raggiungere le densità di riduzione/conservazione/espansione/dispersione/destrutturazione delle popolazioni, inventandosi panegirici urbanistico-venatori (com’è anche oggi in Abruzzo). Esclude valutazioni gestionali intra e interspecifiche (tutti gli ungulati sono accomunati solo a delle soluzioni che significano sparare a zero su tutto … il che a volte produce l’effetto contrario: molti danni provengono da aree in cui i prelievi a caccia aperta sono davvero molto importanti). Non c’è alcuna costruzione di una gestione faunistico venatoria “seria”, ma solo un provvedimento emergenziale tappabuchi di finto placebo per gli agricoltori. Assurdo il prelievo selettivo “a scalare” e così come l’affermazione secondo cui sono (per legge) zone non vocate: le Zone Ripopolamento e Cattura, le Zone di Rispetto Venatorio, le aree coltivate soggette a danni documentati nel quinquennio precedente, comprese le frazioni boscate e cespugliate tra loro intercluse, attestandone i confini lungo linee fisiche di facile identificazione con importantissimi riverberi di destabilizzazione venatoria.
L’imperterrito “controllo”, anche con fari, con foraggiatori ecc. è la prova del nove dell’incapacità di gestire il problema con gli “ordinari strumenti faunistico-venatori”. Con una buona caccia il controllo è più che inutile!
E tutto ciò in una regione dove gli interessi economici delle aziende a.f.v. e aatv sono altissimi.
Quella legge non risolve il problema dell’emergenza cinghiali. E forse lo crea sulle altre specie.
Non mi stupirebbe, dunque, se la Regione Abruzzo la copiasse d’impeto, con ogni pesante conseguenza per la palese violazione della sostenibilità del prelievo venatoria secondo le disposizioni dell’Unione Europea … E, così, con la facile possibilità di conseguire una pesante censura direttamente da Bruxelles.
Avv. Giacomo Nicolucci