Fotografia come pittura, la letteratura dell’arte ai limiti del Pop.
Hen-zo, Villacanale (IS) dal 12 al 20 agosto 2016
Canonica Chiesa San Michele Arcangelo
Siamo negli anni ’70 quando la necessità di confrontarsi con il mondo della fotografia viaggia di pari passo con l’avanzamento dei nuovi media. La fotografia entra prepotentemente nell’arte, prima sotto forma di collage, poi di serigrafia e dopo ancora come riporto su tela.
Ci si rivolge alla cose, senza la necessità di un approfondimento introspettivo. La testimonianza di qualcosa che passa davanti l’obiettivo, che manifesta la sua presenza per il semplice fatto di esserci. Un vuoto intorno all’oggetto lo isolava dal contesto: icone pubblicitarie, bottiglie di Coca Cola, barattoli di zuppa.
Mancano i rapporti dinamici con gli altri elementi strutturali e questa idea di straniamento (tipica della fotografia) richiama alla mente nei momenti più felici l’idea dell’evidenziare, del dare importanza. Quasi un escamotage letterario della narrazione, un climax.
La pittura diventa democratica e sociale. A distanza di oltre quarant’anni, l’immaginario pop ha continuato a popolare e inquinare la fantasia di moltissimi artisti. Le dinamiche compositive, le nuove prospettive, il ragionamento tematico e la contaminatio tra genere e racconto poteva convivere magicamente nella stessa opera. Ci si muove sempre più verso la dimensione dell’ipertesto, dell’opera d’arte interattiva, site specific.
Enzo DE SIMONE (Agnone, 1976, dove vive e lavora), riprende queste tematiche e le sviluppa in senso antropologico. La curiosità e il vissuto personale danno vita ad una serie di lavori tematicamente diversi, geograficamente lontani ma stilisticamente molto simili. Una sintesi perfetta dell’ immaginario ideale – proprio dell’artista – e il vissuto quotidiano.
Ciò che rende interessante questa produzione è una sorta di narcisismo stilistico che pervade quasi tutti i suoi lavori. La scelta dell’olio, non di meno, rappresenta la volontà di possibili ripensamenti, di un contatto con il passato vissuto nella incoerenza tipica dell’arte.
Quindi un medium lento per una realizzazione quasi estemporanea, e già qui la prima contraddizione. Il fotogramma reale di un momento di vita. Una polaroid. A differenza dei padri fondatori, la tela è pervasa da un senso psicologico ampio, da connotazioni introspettive molto forti. La gamma di colori è sfocata, i volti e le figure trattati al limite della riconoscibilità. Tutto quello che l’artista somatizza viene riprodotto e filtrato attraverso il pennello, in un discorso senza soluzione di continuità ma coerente.
Ci troviamo di fronte a una sorta di analisi dell’io dell’artista, quasi una confessione intima. Pagine di un diario vissuto che rivivono lì sulla tela con la prepotenza della semplicità e con la forza del loro esistere. Mai come in questo caso il motto latino “cogito ergo sum” e il pensiero di Hen ZO rivivono in un’esperienza sociale così formativa e caratterizzante.
I soggetti ritratti sono emblemi del suo immaginario antropico, una comédie humaine per niente grottesca avvolta da un affettuoso vissuto, condiviso anche nelle sue più fantasiose investigazioni. Così tutto ciò che emoziona l’uomo Enzo rivive attraverso l’artista Hen ZO. La sua è un’arte colta. Manifesta una ricerca condotta in anni e anni di sperimentazioni e motivata da una necessità di fare arte più forte di qualsiasi altro istinto.
L’esigenza di bloccare sulla tela i momenti topici della sua esistenza, la notevole forza produttiva, l’inclinazione a sopravvivere e la sensibilità nel riprodurre le varie sfumature del reale, sono la sua narrazione personale di quel complesso percorso umano che è la vita.
Non si avverte un senso di tristezza ma si ha l’impressione che l’artista si ponga in una duplice veste. Attore e osservatore, a volte protagonista (nei numerosi autoritratti da solo o in gruppo). La tela per lui rappresenta quello che la carta stampata riveste per un cronista. Questa fortissima concatenazione causa/effetto e la prontezza nel catturare il momento giusto non incidono minimamente sulla cura del dettaglio.
Le opere di Hen ZO sono piene di particolari e godono di una definizione che appartiene più alla macchina che all’uomo. I dettagli delle figure e la scelta dei colori manifestano una profonda riflessione che si sublima attraverso il gesto pittorico dopo essere stata a lungo maturata nella mente dell’artista. Il momento dell’esecuzione diventa la partenogenesi creativa del processo completo.
Se dovessimo utilizzare un termine caro alla pop art potremmo dire semplicemente che la sua factory coincide con la sua vita. Questo si evince anche dall’approccio analitico e chirurgico nello studio dei soggetti ritratti.
La tecnica divisionista per molti versi cara al cubismo utilizza il colore per separare i volumi compositivi. Mai come in questo casi i soggetti sembrano essere composti da tante masse colorate che affiancate l’una all’altra rendono la definizione di una scena riconoscibile, camuffandola in una veste grafica apollinea, dove la bellezza spicca a primo impatto sul contenuto. L’immaginario scelto manifesta infine una propensione al fumetto e come in quest’ultimo ogni scena racconta una storia ben precisa. Tessere di un puzzle definito, la vita, che per essere raccontate hanno bisogno di essere vissute, interiorizzate, riassunte.