Regionali in vista, Maria Amato: «Tornano le favole sui piccoli ospedali».
Lo sfogo della ex parlamentare del Pd tornata a fare il medico dopo la parentesi politica.
«Si avvicinano le elezioni regionali e tornano i “piccoli ospedali”, sembrano una bomba ad orologeria. La legge nazionale, la legge regionale, esistono gli atti aziendali, esiste la rete ospedaliera, esiste la possibilità di distribuite i posti letto a seconda del progetto di sanità regionale e delle diverse aziende. Esiste un equilibrio nella riduzione dei posti letto con una giusta proporzione tra pubblico e privato, non solo pubblico. Esiste la priorità della medicina del territorio, questa sconosciuta. I pronto soccorso sono sempre pieni perché sono l’unico posto dove h24 si trova un medico.
I malati dopo due o tre telefonate al cup, dai privati ci vanno anche se non sono abbienti, per disperazione. Le Regioni che hanno una offerta sanitaria di livello hanno potenziato la offerta sul territorio, disegnato una rete ospedaliera tempodipendente, non Km-dipendente, e dove le strade sono un colabrodo e l’elicottero viaggia solo di giorno la differenza tra tempo e distanza chilometrica fa la differenza tra salvarsi la pelle o morire. E hanno avuto coraggio, il coraggio che manca in Abruzzo dove due Ospedali grandi e troppo vicini tra di loro, Chieti e Pescara, assorbono gran parte delle risorse senza essere sufficienti per una risposta adeguata ai bisogni di tutta l’area delle due province, ingiustizia su disuguaglianza con la creativa soluzione del DEA di II livello “diffuso”. Il Ministero della salute ha chiesto i dati per le liste d’attesa, e li vuole in 15 giorni. Spero che gli comunichino anche il numero dei pazienti che vanno a fare le prestazioni a pagamento, quelli che non aspettano un appuntamento al 2023 e che quindi non risultano nelle liste dei CUP. Il territorio, con i medici di famiglia, i distretti, la specialistica ambulatoriale, quel che resta della guardia medica e tutto il resto è una risorsa enorme, è quella che va potenziata, riorganizzata, magari anche avviando una sperimentazione come area dipartimentale: sono loro i soli a poter garantire una richiesta appropriata e la sanità di prossimità, quella che dà sicurezza ai pazienti e alle famiglie perché combatte la solitudine e il sentirsi abbandonati. E per sentirsi accuditi non basta aumentare le ore di ADI, più o meno controllate, più o meno di qualità, ci vuole continuità nella rete dell’assistenza PUBBLICA di base. Il resto, le discussioni sugli ospedali a cavallo delle elezioni, da qualsiasi parte vengano hanno un alone di favola. E le tecnologie servono per una sanità migliore, non per fare le inaugurazioni. La informatizzazione fa fare un salto quali-quantitativo all’assistenza ma senza i gruppi di continuità con una rete elettrica insufficiente, così per fare un esempio a caso, sono una trappola. Magari con un po’ di onestà intellettuale il consenso va cercato con quello che si tende a nascondere dietro la tecnica o il campanile:
– un sistema sanitario universale e pubblico?
– un sistema sanitario con i privati concorrenti e prevalenti?
– un sistema sanitario basato sulla assicurazione obbligatoria?
Tutto il resto viene dopo. Per me resta il principio del diritto alla salute come diritto primario e il sistema sanitario universale e pubblico».