Il 13 settembre scorso è scaduto il termine per la presentazione della certificazione medica da parte dei detentori di armi comuni da sparo che non sono titolari di porto d’armi. La scadenza interessa più di 3 milioni di cittadini che magari hanno ereditato armi dai propri congiunti. Sulla questione registriamo la posizione della Unione degli Armigeri Italiani APS – Associazione nazionale per la difesa dei Diritti dei detentori legali di armi.
«L’obbligo di presentazione del certificato medico non riguarda i titolari di licenza di porto d’armi in corso di validità (di qualunque genere), i titolari di licenza di collezione per armi antiche né coloro che detengono esclusivamente munizioni, altri esplodenti o armi proprie diverse da quelle comuni da sparo (art. 38, c. 4, TULPS). – spiegano dall’associazione per la difesa dei Diritti dei detentori legali di armi – La certificazione specifica può essere rilasciata, oltre che dalle ASL, anche dai medici militari, della Polizia di Stato o del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (art. 12, c. 2, DLgs 104/2018). La mancata presentazione entro la data del 13 settembre 2019 non comporta alcun provvedimento in automatico, ma l’Autorità di PS deve preventivamente diffidare il detentore a presentare la certificazione e solo decorsi 60 giorni dalla notifica della diffida può essere emanato il decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi ed esplodenti (art. 13, c. 3, Dlgs 104/2018). Le armi oggetto di decreto di divieto di detenzione non potranno essere ritirate preventivamente se non nei casi di reale e concreta urgenza (art. 39 TULPS). In alternativa al versamento delle armi per la rottamazione e prima dell’eventuale ritiro è sempre consentita la cessione a terzi entro 150 giorni dalla notifica del decreto prefettizio (art. 39, c. 2, TULPS)».
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