RICEVIAMO dalla presidenza regionale dell’associazione venatoria Eps Abruzzo e pubblichiamo.
Il calendario venatorio, in punto di diritto, è l’ultimo, modesto atto di tutta una ricca attività di gestione. Non si vede, dunque, quale sia la necessità di modificarlo ogni anno, visto che non c’è una variabile consistente dei dati faunistici, anzi non ci sono dati faunistici (non potendosi considerare tali i parzialissimi ed inaffidabili abbattimenti segnati sul tesserino venatorio).
La Regione Abruzzo, purtuttavia, crede che l’amministrazione della caccia sia tutta affidata a questo banale provvedimento, per cui ogni anno si assiste al suo minuetto, che nasconde tante tirate di giacchette e altrettanti enormi arroganti ignoranze.
L’assessore Dino Pepe, nel settembre 2012, ha promesso all’EPS Abruzzo, al WWF e all’ISPRA che avrebbe intrapreso un articolato cammino per far crescere di qualità la caccia abruzzese. E’ ancora on-line il comunicato stampa (17 settembre 2014) nel quale annunciava: “L’intento, per i prossimi anni, è quello di giungere ad una gestione attiva che accresca innanzitutto la qualità, distribuzione e densità delle consistenze faunistiche sul territorio. Per arrivare a questo obiettivo, di sicura condivisione da parte dei cacciatori e degli ambientalisti, occorre compiere dei passaggi importanti che prevedono principalmente: l’ammodernamento della legge regionale sulla caccia, la costituzione dell’osservatorio faunistico regionale, la redazione di un nuovo piano faunistico venatorio. In particolare, grazie all’osservatorio faunistico, finalmente, la regione potrà possedere dati autonomi di biologia della selvaggina e stringere un qualificato rapporto con l’Ispra, che per svolgere adeguatamente il proprio ruolo consultivo ha indispensabile necessità di possedere elementi di valutazione cospicui, attendibili e qualitativamente validi. Allo stesso modo, il piano faunistico venatorio regionale, da riscrivere, potrà rispondere ad una più moderna ed adeguata gestione venatoria, passando per il coinvolgimento del mondo agricolo. E, così, dovrà essere adeguata la normativa regionale non più rispondente alle evoluzioni della caccia, alle modificazioni degli habitat naturali abruzzesi, alla presenza delle aree protette ed alla necessità di conservazione di specie delicate, come i grandi carnivori, e di specie in espansione – a volte anche problematiche – come gli ungulati, che abbisognano di diventare una risorsa collettiva anziché un problema. Obiettivi a medio e lungo termine sui quali l’assessorato è già al lavoro”.
Dopo due anni siamo ancora al nulla più assoluto. E, così, persino per la più che sciorinata promessa di sostituire il regolamento per la gestione del cinghiale, un vero e proprio colabrodo, utile solo a pochi e men che mai a costruire una gestione della specie nel corretto coinvolgimento dei cacciatori abruzzesi. Stiamo aspettando ancora, altresì, la valorizzazione delle carni di selvaggina e il finanziamento dei fondamentali centri di sosta. E tutto questo nonostante aiuti professionali forniti a larghe mani in favore dell’assessorato, che ha preferito cestinarli come si fa con banali depliant pubblicitari.
La netta sensazione è quella del totale abbandono della gestione faunistico venatoria. Il ricorso del WWF ha solo toccato i nervi scoperti.
Inutile, poi, scaricare la colpa sulla Consulta. Innanzitutto va precisato che EPS, sempre contraria alle giornate di preapertura, ha votato contro anche questa volta e, con valutazioni giuridico-gestionali, ha scelto l’opzione dell’apertura unica ad ottobre. Dunque non vi era affatto la “totalità” di consensi. Ma, per altro, la Direzione agricoltura ha presentato come “libera scelta” due bozze di calendario venatorio: è la Regione stessa, così, che avrebbe dovuto assicurare, all’atto dell’appropriazione della decisione per mezzo di delibera di Giunta, la correttezza amministrativa dell’adottando calendario, oggi sospettato di gravi illegittimità dal Tar L’Aquila.
Questa volta non vi sarà il contributo gratuito e celato di avvocati del libero foro a corroborare, vittoriosamente, le difese della Regione Abruzzo, che troppo spesso ha dimostrato la piena incapacità di assolvere al proprio ruolo anche nelle sedi processuali.
Sarebbe bastato, invece, per il tramite degli strumenti appropriati, intraprendere un percorso finalizzato alla corretta conoscenza dello stato della fauna selvatica sul territorio, e dunque, passando per l’interfaccia con il mondo agricolo (di competenza dello stesso assessorato/direzione), incidere sulla conservazione o sul miglioramento degli habitat indispensabili per la sosta e la riproduzione della selvaggina. Tutto ciò per avere due cose fondamentali: più selvaggina (cinghiali a parte) ed i dati validi per dimostrare la sostenibilità del prelievo venatorio, come imposto dalle normative sovranazionali a discapito della obbrobriosa e vetusta l. 157/1992. Sarebbe stato anche, molto facile, far funzionare sul serio la Consulta, convocarla più volte l’anno per ascoltare tutte le parti in causa per assumere posizioni condivise e non conflittuali.
Ma le cose semplici, si sa, non piacciono né alla burocrazia né alla politica.
La non volontà o l’incapacità, purtuttavia, vanno sanzionate, anche con l’onestà di abbandonare la partita. Le finalità di cura dell’interesse pubblico della caccia e della gestione faunistica sono prioritarie e non possono essere pretermesse.