La Confederazione dei Cacciatori Toscani: «Il Parlamento abbandoni le pregiudiziali contro la caccia e decida finalmente per una gestione razionale ed efficace, che non può prescindere dall’opera dei cacciatori».
Netta presa di posizione della Confederazione dei Cacciatori Toscani contro le decisioni assunte in Commissione agricoltura della Camera dei deputati. Nei giorni scorsi la Commissione ha licenziato un documento che bolla come inefficace il metodo della braccata per quanto riguarda il contenimento degli ungulati e dei cinghiali in particolare. A questo tema si aggiunge la pericolosità del metodo di caccia denominato braccata. Ogni anno numerosi incidenti, anche mortali, si registrano proprio durante le braccate. E ora nel dibattito in corso “braccata sì – braccata no” si aggiunge la nota siglata dalla Confederazione dei Cacciatori Toscani indirizzata proprio alla Commissione agricoltura della Camera.
Di seguito il testo integrale del comunicato della sigla venatoria toscana.
La Commissione Agricoltura della camera dei Deputati ha approvato lo scorso 29 ottobre una risoluzione sul problema dei danni causati dalla fauna selvatica, ed in particolare dal cinghiale, alle colture agricole. Se possiamo registrare positivamente il fatto che finalmente il Parlamento abbia iniziato ad occuparsi di questo tema ormai divenuto in molti casi emergenziale, il modo in cui il problema è stato trattato e le conclusioni raggiunte sono inaccettabili.
Già dalla premessa si denota la superficialità con cui è inquadrato, nelle dimensioni, il fenomeno: il tutto è demandato ad una sorta di “sentito dire”, di voci di corridoio quando, pur realmente mancando una valutazione numerica a carattere nazionale, in molte realtà regionali, le più colpite dal fenomeno come la Toscana o l’Emilia ad esempio, esistono banche date che possono fornire un quadro ben definito nella dimensione di questo problema.
È poi da respingere al mittente l’accusa velata che la presenza massiccia di cinghiali sia da imputare alle immissioni (clandestine) fatte dai cacciatori. Liberazione di soggetti ce ne sono state in passato, anche e soprattutto da parte di Enti Pubblici: in realtà il cinghiale è così numeroso e diffuso perché sta trovando un
ambiente assai favorevole e con questo dobbiamo fare i conti. D’altra parte ormai è impossibile riferirsi alle sottospecie di sus scrofa (cinghiale) una volta esistenti sul nostro territorio. Oggi siamo di fronte ad una entità biologica “nuova” sviluppatasi da incroci ed ibridazioni con maiali domestici. Su questo ultimo problema, che sta contribuendo in modo significativo ad aggravare la situazione, non possono certamente essere chiamati in causa i cacciatori.
Anche per quanto riguarda la valutazione della gestione fin qui adottata lascia sconcertati il fatto di dare la colpa alla forma di prelievo in braccata che, numeri alla mano, sia come caccia vera e propria, sia in fase di controllo, è la tecnica che in rapporto allo sforzo garantisce i maggiori abbattimenti. Si sono chiesti i Deputati come vengono prelevate le decine di migliaia di cinghiali che ogni anno vengono abbattuti ad esempio in Toscana? Con le battute. E chi si intende un po’ della materia sa benissimo che certi risultati numerici, soprattutto in territori molto boscati, non si potrebbero ottenere con sistemi di prelievo diversi. E le decine di migliaia di cinghiali prelevati ogni anno dai cacciatori in questa regione sono animali che di sicuro danni alle colture non ne faranno più. Anzi, dove la braccata non viene più usata come metodo di controllo negli istituti faunistici, come nel caso della Provincia di Siena, si assiste ad una proliferazione di cinghiali senza precedenti.
Il richiamo a forme di gestione alternative farebbe poi sorridere se la situazione non fosse grave. Trappolare e sterilizzare i cinghiali è un tema che può far presa su chi vede di mal occhio l’abbattimento ma sicuramente è una attività impossibile da realizzare su numeri e superfici interessate così ampie. Le esperienze condotte su altre specie, senza dubbio meno problematiche, dovrebbero essere insegnamento sufficiente. Il ricorso invece alla prevenzione danni è una attività che viene realizzata seppure talvolta non trovi un reale e diffuso riscontro tra gli agricoltori. Si tratterebbe di azioni efficaci per mitigare il danno, come dimostrato nei casi in cui ciò viene fatto in maniera coordinata, ma va ricordato che l’acquisto dei materiali e la loro messa in opera, nonché molto spesso la manutenzione periodica degli impianti è a carico solo ed esclusivamente delle finanze messe a disposizione dai cacciatori e dall’opera volontaria di questi ultimi. Così come è a carico esclusivo delle tasse pagate dai cacciatori – nonostante le norme dicano diversamente – il risarcimento dei danni alle coltivazioni.
Appaiono, infine, generici e privi di reale incisività gli impegni a cui è chiamato ad adempiere il Governo. Si tratta di azioni tese più a verificare l’attuazione di ciò che già ci dovrebbe essere (es. monitoraggio, risorse per i risarcimenti, attività di prevenzione, ecc.) piuttosto che intraprendere iniziative innovative e, in certi casi, straordinarie e radicali.
Se si vuole davvero risolvere il problema, invece, ci sono nodi molto concreti da sciogliere, nodi che il mondo venatorio pone da anni e che le istanze istituzionali competenti, in particolare gli organi legislativi e di governo nazionali, sembrano rifiutare pervicacemente di affrontare:
– L’atteggiamento di parte del mondo scientifico (in particolare l’ISPRA, che è determinante perché per legge è chiamato ad esprimere i pareri sulle scelte pianificatorie e gestionali) che, basandosi su principi esclusivamente conservativi, continua ad ostacolare gli interventi volti a ricondurre alledensità compatibili alcune popolazioni selvatiche di ungulati.
– Il problema ancora irrisolto del rapporto tra gestione faunistica ed aree protette, con queste ultime sostanzialmente sottratte alla gestione stessa con il rifiuto di considerare il territorio quale entità unitaria: è inutile realizzare gli obbiettivi di densità sostenibili sul territorio cacciabile se non si fa lo stesso nelle aree sottratte alla caccia.
Occorre innovare decisamente la normativa nazionale, per riconoscere l’unitarietà del territorio ai fini della gestione faunistica.
La necessità di intervenire sulla normativa nazionale per integrare le finalità della gestione faunistica con il criterio, oltre che della conservazione delle specie, della sostenibilità – in particolare per le specie ungulate – della loro presenza e densità con le altre specie e con le attività antropiche. Oggi le Regioni che, come la Toscana, hanno una normativa avanzata, che stabilisce appunto questi criteri, vedono vanificati sforzi e programmi per via delle leggi nazionali (e, in parallelo, dei pronunciamenti di ISPRA), che impediscono una gestione efficace. Con la conseguenza di danni all’agricoltura, incidenti stradali, perdita di biodiversità, squilibri
interspecifici che continuano a crescere in misura esponenziale.
– La necessità di direttive specifiche sulle quali, attraverso i Piani faunistici, ridefinire la nuova carta delle vocazionalità faunistiche del territorio, prendendo atto dei cambiamenti ambientali degli ultimi decenni.
– La necessità e l’urgenza – in forza del principio, stabilito all’art.1 della legge 157, che stabilisce che la fauna è patrimonio indisponibile dello Stato, della costante diminuzione del numero dei cacciatori e dell’anomalia che ad essi venga completamente trasferito l’onere finanziario per la gestione della fauna ed il risarcimento dei danni – dell’istituzione di un fondo nazionale per i danni della fauna selvatica alimentato da parte delle risorse trasferite dalle tasse di concessione governativa sulla
caccia ma anche da risorse della fiscalità generale e da una nuova compartecipazione di fondi assicurativi, per innalzare i livelli e i tetti di risarcimento.
– A tutto ciò si potrebbe aggiungere la possibilità di una ulteriore compartecipazione, anche attraverso il ritorno economico agli ATC, dei proventi derivati dalla valorizzazione delle carni degli animali abbattuti a seguito di specifici progetti di filiera che, nel rispetto delle direttive sanitarie europee e sotto il controllo pubblico, portino alla valorizzazione delle carni, soprattutto provenienti dalle azioni di contenimento e che, a loro volta, potrebbero essere destinate in favore della
gestione faunistica, e quindi destinate in larga parte al mondo agricolo.
Sono questi i possibili riferimenti sui quali si dovrebbe costruire una possibile proposta di Legge da concordare con la parte più attenta degli schieramenti politici e con il Governo. Una legge specifica strettamente focalizzata al tema dei danni e che potrebbe trovare ampie convergenze se veramente si vogliono trovare risposte concrete.
La risoluzione finale della Commissione stupisce ancor più considerando che almeno qualcuno dei suoi componenti era stato promotore, nella passata legislatura, di proposte di legge che affrontavano proprio alcuni di questi aspetti.
CONFEDERAZIONE CACCIATORI TOSCANI
Firenze, novembre 2014