• Editoriale
  • La intelligenza artificiale. Il caso di Francesca Rossi

    Quando penso ai pallottolieri delle bellissime ragazze di Hong Kong, che, da commesse, nei vari negozi di questa straordinaria città occidentale, pur immersa nel mondo orientale, con i quali le stesse riuscivano, e forse riescono tuttora, con una velocità fulminea, incredibile – come quella delle mani di un pianista come Erroll Garner, un afro americano di Pittsburgh, le cui mani volavano sulla tastiera, fino al punto da diventare invisibili, o del grande napoletano Carosone  – a fare i conti della spesa dei clienti e penso contemporaneamente alla fulminea ed impressionante velocità con cui alcuni computers dotati di algoritmi particolari di relè e di altri congegni, letteralmente rabbrividisco.

    Mi domando che cosa sarà la società futura fra 50 anni, o, forse, soltanto, fra dieci, in cui macchine pensanti, al posto dell’uomo, riusciranno a calcolare e a computare e forse chissà a dirigere tutto?

    Quando la matematica si confondeva, e si confonde tuttora, con la filosofia, Pascal,  uno dei più geniali antesignani, di operazioni matematiche affidate ad una macchina (egli la usò per la prima volta per aiutare il padre nelle difficili operazioni di contabilità); e, quando negli anni 40 un altro geniale inventore, John Von Neumann, vi inventò una delle primissime macchine calcolatrici; e, poi, di seguito una innovazione, continua, velocissima, sbalorditiva ed incessante, nessuno poteva immaginare che la intelligenza artificiale potesse quasi raggiungere la intelligenza umana e quasi a “filosofare”, come o forse più dello stesso uomo.

    La ragione pura diventa puro calcolo matematico, agevolato naturalmente da silicio e da altro.

    Aveva ragione Thomas Hobbes : “ragionare è calcolare”. Ragione e pensiero matematico si confondono in un ibridismo pressoché assoluto.

    Eppure da uomo di altri tempi quale sono, mi riesce difficile pensare che la macchina possa completamente sostituire la intelligenza umana, ovvero quei miliardi e miliardi di neuroni che costituiscono il cervello umano, contenuto in quella scatola magica che ci portiamo sul collo.

    Mi sovviene in questo momento il ricordo di un grande umanista e scienziato (non piaceva a lui essere chiamato scienziato, ma secondo me lo era) e che fu un grandissimo docente alla Normale di Pisa, prof. Tristano Bolelli.

    In una conferenza di 40 anni fa circa, che fu una straordinaria, eloquentissima lezione, su quello che stava accadendo nel mondo dei computers e delle relazioni umane e soprattutto nei metodi matematici di calcolo attraverso i computers, rivendicava il primato dell’uomo, in maniera disperatamente romantica, quasi a volere resistere allo schiacciamento sovrumano che i computers stavano esercitando sull’uomo.

    La macchina, egli addirittura tuonava, rimane “stupida”, pur nelle sue prodigiose prodezze, non avrà mai la capacità di creare musica, come Mozart o di creare una Gioconda, come Leonardo.

    Una giovane ricercatrice in Italia, che costituisce una eccellenza nel campo della ricerca sulla intelligenza artificiale, cattedratica in informatica presso la Università degli studi di Padova, laureata a Pisa in matematica ed informatica, e, in particolare, versata in quella della ricerca pura sulla intelligenza artificiale, è Francesca Rossi.

    Oggi, lei, è stata scelta  – unica in Italia, insieme ad altri 50 ricercatori nel mondo – a tenere un corso di ricerca sulla intelligenza artificiale, niente di meno che presso la University di Harvard a Boston nel Massachusetts (Radcliffe Institute For Advanced Study).

    Questa ragazza ancora giovane e che è una delle promesse italiane in materia, è appunto Francesca Rossi, figlia del Generale dell’esercito Giorgio Rossi, eminente figura nel mondo rotariano italiano e di Marisa.

    Francesca è, dunque, un giovane talento salvato dalla c.d fuga dei cervelli all’estero.

    La sua, per fortuna, è soltanto una momentanea trasferta nella più celebre università americana, e forse la più celebre nel mondo, ma tornerà a Padova, dopo le sue magistrali lezioni ad Harward.

    Seguace, come presumo, di Jaffar e Lassez, i primi geniali inventori dei “vincoli” nella programmazione, ella è una delle maggiori esperte nella “programmazione a vincoli”, ovvero di quel pensiero superiore, matematico, fisico, filosofico che è appunto la c.d. “programmazione a vincoli”.

    Sinceramente ci capisco poco, ma mi impressiona, come ne era impressionato Bolelli, che le nostre intelligenze possano essere superate da relè, da codici, capaci di sostituire i neuroni umani.

    Francesca è autrice di 150 pubblicazioni scientifiche, ha lavorato su semantica e grafica.

    Lavora nel comitato editoriale della prestigiosa rivista internazionale della  ”Constraints” della Kluwer.

    Ha organizzato workshops; è spesso conferenziera di riferimento nelle conferenze internazionali sui “Vincoli”.

    Importante, una conferenza tenuta in Cina, in una sala gremitissima di partecipanti, su uno studio di ricerca di 2000 pagine su circa 1000 persone.

    Rimanendo colpita, tra l’altro –  come riferisce in una intervista recentissima, rilasciata in inglese a novembre, ad un giornalista che cercava di indagare, curiosare, speculare anche della sua vita privata –  dalla civiltà tecnocratica cinese, che è, ormai, in competizione con quelle occidentali.

    Conosco personalmente Francesca: ne ammiro anche il suo carattere riservato e gentile.

    Nella stessa intervista, mostra tutta la sua sensibilità verso il mondo suo famigliare, la nonna in particolare, verso gli orizzonti marini davanti ai quali ella e cresciuta e vissuta in Ancona; ricorda, come Marcel Proust, alcuni odori e sapori infantili, che, come capita a tutti noi, non si dimenticano mai.

    Auguri Francesca!

     

     

                                                       di Franco Cianci

     

     

     

    Sostieni la stampa libera, anche con 1 euro.