CAMPOBASSO – Siamo appena usciti dalla sessione di calciomercato più ricca e sconvolgente di tutti i tempi. Cifre spropositate, per fuoriclasse affermati e potenziali tali, con assegni fra i 150 e 220 milioni di euro. Numeri che quasi mai sono necessari per allestire top club, sino alla passata stagione, figurarsi per un singolo giocatore. Il caso Neymar ha inevitabilmente condizionato il corso di tutto il mercato mondiale, con l’ovvia iper valutazione di Dembelé, passato in blaugrana dopo il rifiuto di allenarsi col Borussia Dortmund. Ecco, provate ad andare nelle categorie inferiori, nel calcio dilettantistico per la precisione a non presentarvi agli allenamenti, sarete messi fuori dalla porta all’istante.
Mondi diametralmente opposti, che pur appartengono al medesimo settore, quello del pallone. Ma come sono possibili differenze tanto grandi, fra chi vive il calcio per passione ma eguale dignità dai Dilettanti in giù (l’esempio di Pippo Litterio) e chi invece si permette di non presentarsi su quello che è a tutti gli effetti il luogo di lavoro, guadagnando ciò che noi comuni mortali non sogneremmo di intascare vivendo 10 vite? Dalle istituzioni mondiali alle leghe nazionali, fino alle singole società e alle tv: il mondo intero di questa pazza sfera ha delle responsabilità, che oggi si pagano a caro prezzo.
La sparizione di squadre blasonate, il fallimento e la bancarotta di Presidenti padroni, il declino di piazze e stadi storici: tutto questo ha finito per creare un’immensa spaccatura fra la Serie A, buona parte della B ed il “resto d’Italia”. Eppure viviamo proprio in questi ultimissimi anni una lenta ma costante ripresa del calcio italiano, anche rapportato al Vecchio Continente. A livello sportivo ma anche economico, con società figlie del made in Italy ed altre che hanno abbracciato l’Oriente e le loro ricche proprietà in nome di gestioni decennali a carattere familiare.
La questione stadi, tanto per citare un aspetto della questione, è a dir poco focale per restituire al Paese la sua immagine ed un senso d’essere in un panorama europeo dove oggi il Belpaese sembra un pesce fuor d’acqua con una media di spettatori nettamente inferiore ad altri campionati.
E da questo punto di vista, soprattutto per quanto concerne l’abbattimento delle barriere fra campo e pubblico, la Lega Nazionale Dilettanti fu la prima ad avviare il progetto a partire dalla stagione 1998-1999 tramite i quattro stadi in quel di Vibo Valentia, Ladispoli, Montecchio Maggiore e Castelsardo. La Lega ha promosso l’abbattimento delle barriere in altre dieci strutture fungendo da laboratorio virtuoso e punti di riferimento per tutto il calcio professionistico.
«Il calcio dilettantistico – afferma il presidente della Lnd, Cosimo Sibilia – vuole restituire a questo sport i suoi valori positivi, sia come evento esclusivamente sportivo, che come momento di aggregazione e socializzazione da condividere, se possibile, con l’intera famiglia. I Dilettanti – continua Sibilia -rappresentano il calcio dell’aggregazione e questo è un altro segnale di cultura sportiva, un segnale contro la violenza».
E pensare che proprio i Dilettanti hanno dato al nostro Paese l’ultimo eroe Mondiale nel 2006: Fabio Grosso, che sette anni prima di quel fatidico rigore girovagava per l’Eccellenza abruzzese.
Mentre in Europa il mercato impazza il calcio inferiore sopravvive
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