E’ il lievito che fermenta la massa. La citazione è celebre e viene addirittura dal vangelo di Matteo, capitolo tredici, versetto trentatrè. Una donna impasta il pane, fatto con il lievito naturale, un lievito che non a caso la tradizione chiama “pasta madre”, generatrice, nutrice di nuovo lievito e di nuovo pane, in un continuo ciclo che si rinnova e si ripete, come la stessa vita. La “pasta madre” veniva e viene conservata gelosamente, tramandata di generazione in generazione e mantenuta in vita con opportuni rinfreschi, che si dovevano ripetere quotidianamente producendo nuovo pane.

Nella parabola il minuscolo pezzo di lievito è mescolato in un’enorme quantità di farina. Tre misure di farina, che diventeranno più di quaranta chili di pane, per sfamare diverse decine di persone. Fare qualcosa oggi, qui e ora, anche di piccolo e apparentemente inutile, che darà i suoi frutti, moltiplicati, nel futuro. Deve essere questo il principio ispiratore dell’ennesimo strumento di rigenerazione territoriale ideato e posto in essere a Castel del Giudice, dove hanno pensato di realizzare, ma forse sarebbe meglio dire ripristinare, quello che oggi viene chiamato forno di comunità. Un tempo, quando la comunità dei piccoli centri montani era molto coesa, si ottimizzavano le risorse, anche energetiche e quindi quando qualche famiglia alimentava il forno per la panificazione, praticamente tutto il paese lo utilizzava, o almeno il vicinato, proprio nell’ottica di risparmiare legna e calore. Il forno che oltre a cuocere il pane rinsaldava legami fatti di condivisione di risorse, di saperi, manualità e cultura. «Il calore del pane, il valore della condivisione.

Un luogo dove le mani impastano storie, tradizioni e futuro» spiegano infatti gli ideatori del progetto di Castel del Giudice, che vede come co-attori lo stesso Comune e il Centro di (Ri)Generazione, un’idea progettuale finanziata dall’Unione Europea e dal Ministero della Cultura. Il forno di comunità dell’Alto Molise, spiegano ancora i promotori, sarà «un laboratorio aperto alla comunità, dove si prepareranno pane e prodotti da forno, destinati al paese e ai centri vicini».
E già la dimensione e la visione d’insieme, territoriale, dell’Alto Molise nella sua interezza viene fuori in questo progetto. Ma la cosa ancor più interessante, non solo dal punto di vista giornalistico, ma anche sociologico ed economico, è che tutti i prodotti saranno realizzati utilizzando farine locali, macinate sul posto grazie all’attivazione di un mulino dedicato. Farine locali da grani antichi, prodotti a chilometro zero, che alimentano la filiera locale dunque, creano lavoro e occupazione sul territorio. Una scelta a bassissimo impatto ambientale, atteso che la maggior parte della farina alimentare utilizzata per la panificazione in Italia arriva dall’estero, dal Canada ad esempio, con tutto ciò che ne deriva in termini di emissioni inquinanti per il trasporto fino al vecchio continente.

Il forno di comunità e il grano antico locale sono scelte ecologiche, che fanno bene anche all’ambiente, non solo alla comunità locale. «L’obiettivo a lungo termine, – aggiungono dal centro di (Ri)Generazione di Castel del Giudice – è la riattivazione della coltivazione del grano sul territorio e la costruzione di una filiera corta, sostenibile e genuina». Produrre localmente le materie prime significa creare condizioni di lavoro sul posto, occupazione, reddito. Così, anche così si combatte lo spopolamento. «Il forno di comunità è un invito a ritrovarsi, a condividere gesti antichi, a riscoprire il valore del cibo fatto insieme. – aggiungono in chiusura gli ideatori del progetto di Castel del Giudice – Un progetto che unisce passato e futuro, creando occasione di socialità e rafforzando il senso di appartenenza». Il famoso lievito che fermenta la massa, piccoli tasselli di un mosaico più complesso che ha come obiettivo e tensione finali la rigenerazione del tessuto sociale ed economico dell’Appennino, quelle aree interne e marginali dove «ormai non c’è più niente» e che invece sono una vera e propria fucina di idee e progetti concreti contro lo spopolamento, come dimostra l’esempio virtuoso di Castel del Giudice.
Francesco Bottone