• In evidenza
  • Il Pci e l’amore per Agnone, Mimmo Pellegrino si racconta

    A 88 anni Domenico Pellegrino non ha perso nulla della passione che ha caratterizzato una vita di grande impegno professionale, politico e sociale. Medico, comunista, uomo di cultura, per anni e anni è stato un simbolo ed un punto di riferimento della sinistra. Mimmo Pellegrino, sei nato a Pescolanciano, poi ti sei trasferito a Isernia. Conosci benissimo tutti i paesi della Provincia di Isernia, ma con Agnone hai un rapporto particolare. «Da bambino per me Agnone era un luogo prediletto perché da lì arrivava il trenino, la Colomba bianca e la mia immaginazione ne faceva un paese fantastico. La stazione ferroviaria era sede di incontro e di scambio di uomini, di merci, di idee. Passavo lì ore ed ore. Poi ho conosciuto il valore dell’Atene del Sannio e lì ho incontrato e sposato la fedele compagna della mia vita, mia moglie Elda (Amicarelli, ndr)».

    Schermata 2015-06-30 a 19.32.38

    Sei nato dalla famiglia di un muratore. È stata dura?

    «Mia madre era contadina, mio padre muratore. Ho fatto il manovale con lui, pensavo di fare il geometra. Ma andavo bene a scuola, soprattutto nelle materie umanistiche. Ho frequentato a Isernia il liceo classico ‘Fascitelli’ e poi mi sono laureato in Medicina». Medico di famiglia per tutta la vita. «Si, anche se ho dovuto subire tante discriminazioni. Non entrai in ospedale perché era impossibile per un comunista vincere un concorso. All’inizio fu molto dura ma con il tempo riuscii a costruirmi una grande clientela. Fu anche una prima forma di impegno sociale per i contadini ed i braccianti».

    Il tuo incontro con la politica?

    «Piuttosto precoce. Il preside Gonnella, socialista, mi chiese di aiutarlo nel ‘46 per il referendum tra Monarchia e Repubblica. Sono stato socialista, nenniano, fino al ‘52. L’articolo domenicale di Nenni su ”L’Avanti” era come il caffè mattutino, anche perché il caffè non c’era».

    Perché sei passato al partito comunista?

    «Cambiai non tanto motivi politici, perché il Psi ed il Pci erano di fatto uniti nel Fronte Popolare, ma per motivi pratici. I comunisti erano organizzati in sezioni, avevano rapporti organici con il centro ed una maggiore capacità organizzativa. Le Camere del Lavoro davano possibilità concrete di migliorare le condizioni dei lavoratori. Ricordo l’impegno per fare ottenere a tanti contadini altrimenti condannati all’ indigenza i contributi figurativi per ottenere la pensione come braccianti. Mi aiutò anche un collocatore, democristiano».

    Un impegno costante e faticoso.

    «Era un processo di maturazione lento ma costante che dava dei frutti. La sezione di Pescolanciano raggiunse gli 80 iscritti. Quando organizzavamo le Feste de L’Unità arrivavano da Germania, Francia, Svizzera le tesserine rosa, i contributi inviati dagli emigrati. Finimmo nella terza pagina del giornale che premiò così il nostro impegno».

    Avevate costanti rapporti con Botteghe Oscure, con la direzione del Pci.

    «Avevo un buon rapporto con Togliatti, era di una rigidezza seria ma non altezzosa. Non gli piaceva perdere tempo. Una volta arrivammo in ritardo ad un appuntamento per la frana di una galleria ma lui se ne era andato, non amava perdere tempo».

    Cosa rappresentava per voi il comunismo reale, l’Unione Sovietica?

    Schermata 2015-06-30 a 19.33.02

    «Bisogna capire l’ epoca storica. Uscivamo dal fascismo, da un oppressione ventennale e per noi la rivoluzione russa era un mito. Oggi mi accorgo che sbagliavamo. Comunque per me vale il principio sannita della tolleranza verso i vinti. Loro li facevano passare sotto le forche caudine ma li lasciavano in vita, mentre Silla il romano commise un vero e proprio genocidio».

    Hai ricoperto innumerevoli ruoli istituzionali.

    «Sono stato consigliere regionale nel ’70 durante la prima legislatura. Mancai l’elezione a deputato perché il capolista optò per il Molise. Poi mi trovai di fronte ad una scelta: fare il consigliere regionale richiedeva un impegno a tempo pieno ma avevo raggiunto una clientela enorme e non volevo abbandonarla. Di qui, la scelta di impegnarmi per la Provincia. Sono stato più volte consigliere provinciale, assessore alla Cultura e poi presidente».

    L’anticomunismo all’epoca era un elemento molto forte, la Democrazia Cristiana fortissima. Ne hai sentito mai il peso?

    «Era un clima che influiva sul anche lavoro: la gente si chiedeva ma il mio dottore tanto bravo e disponibile davvero mangia bambini? Essendo comunista non ho mai potuto vincere un concorso pubblico».

    Anche con la Chiesa rapporti erano difficili, il Papa aveva scomunicato i comunisti.

    «Fu un atto (mai ritirato, ndr) che creò grande scalpore anche tra i moderati. Io e Elda eravamo invitati da tante famiglie a battezzare o cresimare i loro bambini ma non lo potevamo fare. Avremmo dovuto strappare la tessera. Incontrai ad Agnone un prelato, un Carlomagno, nunzio apostolico in Svizzera, che fu squisito e mi disse: se ti proibiscono di farlo a Trivento vai a Isernia, lì c’era un vescovo più tollerante, facemmo così. Anche per la celebrazione del nostro matrimonio avemmo grosse difficoltà, non ci volevano sposare in chiesa. Grazie a don Nicola Marinelli riuscimmo a sposarci a Sant’Emidio in Agnone. Ricordo che mi chiese: “ma ti vuoi proprio confessare?”».

    La battaglia più dura.

    «Non c’è una sola competizione politica che abbia sottovalutato. Forse la più impegnativa fu quella contro la legge truffa voluta da De Gasperi che istituiva il premio di maggioranza. Non mi risparmiai: tenni una sessantina di comizi. A Poggio Sannita ottenemmo un grande successo, 500 voti. Nessuno se lo aspettava».

    Un aneddoto di una campagna elettorale?

    «Il mio prima comizio lo tenni a Capracotta, aprendo con un sonoro “Cittadini di Capracotta!” . Fui accolto benissimo, tanto che nel comizio successivo, a Roccasicura iniziai con “Cittadini di Capracotta”. Grossa risata generale e poi un applauso».

    I tuoi cavalli di battaglia da assessore e poi da presidente.

    «La nostra terra, la sua storia e quella delle sue popolazione e degli uomini che la attraversarono attraverso i tratturi. La scoperta e la valorizzazione della cultura materiale del tratturo. L’impegno editoriale, solo per fare un esempio la ristampa del basilare testo di Salmon “Il Sannio e i sanniti”. Il paleolitico di Isernia, la realizzazione di un Museo che ha destato interesse internazionale. I concerti nelle chiese, che dovevano essere premessa per l’istituzione in Agnone di una sede distaccata del conservatorio musicale. Mi accusavano di avere una predilezione per Agnone, ma non potevo disconoscere la bellezza e la storia dell’Atene del Sannio, la città delle 14 chiese».

    I compagni di strada con cui hai condiviso il tuo impegno.

    «Faccio fatica a essere completo, è facile fare omissioni. Comincio con Adriano La Regina, il grande archeologo. Lo conobbi nel ‘56 a Pietrabbondante in un pomeriggio d’estate. Tornavo da una visita fatta a Ortovecchio. Passai alle Macere e mi presentai, con in mano la mia borsa da medico. Nacque un’ amicizia ed una collaborazione che dura ancora. Abbiamo tuttora dei progetti. Poi voglio ricordare Natalino Paone, Edilio Petrocelli. Considero un mio padre spirituale il professor Ettore Maselli, padre del regista Citto. Guido Carlomagno (cognato di Pellegrino, ndr), grande conoscitore di arte; Renato Guttuso, a cui portavo a Roma il pane e le scamorze e che mi ha ricambiato dedicandomi bellissime opere».

    Hai vissuto una prima fase di grande attivismo sociale, poi hanno prevalso gli interessi culturali.

    «Mi sono impegnato per un livello sempre più alto di utilità per l’uomo. Il lavoro, i servizi sociali, la pensione sono necessari ma lo è altrettanto la cultura per percorrere le vie del progresso».

    Trovi differenze tra ieri e oggi nella vita politica?

    «Oggi non c’è più politica e non è poco. Le buona politica è una cosa preziosa».

    Le province sono state abolite, c’e sfiducia negli enti locali. Ti sembra giusto?

    «Il decentramento è stato un fatto positivo, ha attenuato la morsa centralistica. Sull’abolizione delle province non sono d’accordo, si poteva fare diversamente. Ricordo l’istituzione della Provincia di Isernia un’epopea, un impegno comune che creò un grande movimento, una liberazione di energie. Isernia poteva e doveva allargarsi all’Alto Sangro e Vastese ma anche all’Alto Casertano, a Trivento; ce n’era la possibilità e dovevamo approfittarne».

    Hai sempre parlato ai giovani, cosa diresti oggi a un tuo nipote?

    «Di non essere pessimista. Di non esitare a costruire dei percorsi per un processo di crescita e di tenere a cuore i valori dell’uomo, il lavoro, la cultura, la famiglia, la solidarietà».

    di Italo Marinelli 

     

    Sostieni la stampa libera, anche con 1 euro.