La disponibilità alimentare di origine antropica ostacola il ruolo ecologico dei lupi: approfondimenti per la conservazione dei predatori apicali nei paesaggi modificati dall’uomo
Una ricerca di Paolo Ciucci e coautori, in pubblicazione sulla rivista Global Ecology and Conservation e già disponibile come bozza definitiva qui.
Pubblichiamo, di seguito, il post della Società Italiana di Scienze Naturali:
Negli ecosistemi ecologicamente incontaminati, gli effetti top-down dei predatori apicali svolgono un ruolo fondamentale nel modellare le cascate trofiche e strutturare gli ecosistemi, ma in paesaggi modificati dall’uomo gli effetti antropogenici possono alterare notevolmente il ruolo ecologico dei predatori. In particolare, i sussidi alimentari forniti dall’uomo rappresentano un motivo di seria preoccupazione per la conservazione dei predatori apicali, anche se, nella valutazione dei risultati di conservazione, è stata prestata poca attenzione empirica a questo aspetto. Per valutare la misura in cui i sussidi alimentari antropogenici hanno influenzato l’ecologia alimentare di una popolazione protetta di lupi (Canis lupus) in un paesaggio modificato dall’uomo, abbiamo integrato l’analisi delle feci (n = 16 1141 da 4 branchi; gennaio 2005-marzo 2009) e, d’inverno, ispezioni sul campo dei punti di localizzazione effettuati attraverso telemetria GPS (n = 595 gruppi e 96 località singole da 5 lupi in 5 branchi e 3 individui solitari; 2008-2011) di lupi che vivono in un parco nazionale dell’Italia centrale che ospita sia prede selvatiche, sia bestiame ad alta densità. Abbiamo rilevato che il bestiame dominava la dieta del lupo (biomassa media = 63,3 ± 14,2% DS), secondariamente integrata da prede selvatiche (36,7 ± 5,3%, principalmente cinghiale [Sus scrofa], capriolo [Capreolus capreolus] e cervo [Cervus elaphus]). Durante l’inverno, abbiamo rilevato una maggiore propensione dei lupi a sfruttare carcasse (72,5%; n = 91 eventi di alimentazione) piuttosto che uccidere la preda, e il comportamento alimentare è stato influenzato dal tipo di preda (cioè ungulati domestici e selvatici) come la grande maggioranza delle carogne utilizzate (75,8%) erano carcasse di bestiame abbandonate sul terreno e la cui causa di morte era diversa dalla predazione. Il comportamento alimentare non era influenzato dalla struttura sociale (cioè membri del branco contro lupi solitari), il che indica che i membri del branco, anche se aiutati dalla caccia cooperativa, avevano la stessa probabilità dei lupi solitari di sfruttare carcasse piuttosto che uccidere le prede; tuttavia, il 27,5% degli eventi di alimentazione invernale riguardava la predazione, rivolta esclusivamente a prede selvatiche. I nostri risultati indicano che la grande disponibilità di carogne di bestiame può deprimere fortemente il comportamento predatorio nei lupi, nonostante sia presente e disponibile un’abbondante comunità di prede selvatiche, e avere implicazioni ecologiche, evolutive e gestionali rilevanti. La dipendenza dalla disponibilità di carogne di bestiame fornite indirettamente dall’uomo probabilmente altera il ruolo ecologico dei lupi riducendo i loro effetti a cascata dall’alto verso il basso sull’ecosistema e questo ha implicazioni rilevanti per la conservazione dei lupi e di altri predatori apicali nei parchi nazionali. Di conseguenza, chiediamo norme più rigorose per la gestione del bestiame e sosteniamo che, almeno nei parchi nazionali, gli obiettivi di conservazione dei predatori apicali devono considerare esplicitamente il loro ruolo ecologico.