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  • L’antica arte di costruire campane e quella bugia detta a Papa Giovanni XXIIII

    Fonderia Pontificia Marinelli ancora alla ribalta nazionale. L’ennesimo reportage nel ventre dell’opificio agnonese porta la firma di ‘Specchio’, l’inserto che ogni domenica esce con il quotidiano La Stampa di Torino. Il servizio dal titolo ‘Per chi suona la campana del Papa’ a cura del collega Franco Giubilei spiega i segreti e le tecniche di un antichissimo mestiere capace di sopravvivere a pestilenze, guerre e tecnologie di ogni tipo. Nella Marinelli infatti la voce degli angeli nasce ancora con metodo rigorosamente tradizionale, unicum che inorgoglisce e i fratelli Armando e Pasquale fieri eredi di lavorazioni che non conoscono il tempo. Un particolare non sfuggito al Vaticano che 97 anni sotto il pontificato di Papa XI gli conferì l’onore di avvalersi dello Stemma Pontificio perché potessero rappresentarlo nel volto delle campane fuse in tutto il mondo. Ma realizzare campane, soprattutto quelle di una certa grandezza, oltre a passione, fede, amore e sapere richiede tempo.

    E’ così nelle due pagine che ‘Specchio’ ha inteso dedicare alla fonderia di Agnone emerge un particolare che probabilmente in pochi conoscono. In occasione della commessa per la basilica di San Paolo a Roma papa Giovanni XXIII chiese che venissero realizzate con una certa celerità. Tuttavia al momento di farle sentire al Pontefice, collegato telefonicamente dal Vaticano, le campane non erano ancora pronte, così l’allora titolare della fonderia, lo zio di Armando che insieme a suo padre, guidava la fabbrica di famiglia, pronunciò ‘la grande bugia’, visto che al Papa vennero fatte sentire al telefono altre campane. Il Vicario di Cristo non poteva certo accorgersi della differenza e diede il suo placet. Si trattò di un peccato veniale commesso in buona fede per quel discorso che ancora oggi vuole la fabbricazione di campane con tecniche tradizionali che richiedono tempo affinché il ‘prodotto’ possa funzionare in maniera efficiente nonché vivere in eterno.

    “Dobbiamo far capire ai nostri clienti, e il fatto che ci capiscano è la prova della giustezza della nostra decisione di continuare ad operare in questo modo, che una campana fatta con metodi tradizionali ha un valore molto più alto di una campana fatta e finita in una settimana” il succo del discorso che la famiglia Marinelli ha voluto ribadire ancora una volta. E visti i risultati impossibile dargli torto.

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