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  • Morti bianche, Isernia al secondo posto

    In merito alla notizia fornita dalla VEGA Engineering sul  posizionamento della provincia di Isernia al secondo posto nella classifica di morti sul lavoro (dato calcolato in base ai casi di decesso rispetto all’indice di occupati) l’On. Aldo Patriciello afferma quanto segue: “Nonostante il dato faccia riferimento agli infortuni mortali ogni milione di occupati credo che la notizia non debba essere tralasciata. Qualche giorno fa sono intervenuto in merito alla tragedia che ha sconvolto Molfetta, a seguito della morte di padre e figlio, operai della stessa azienda ed entrambi morti durante il lavoro. Ebbene la piaga sociale delle morti bianche tocca l’Italia intera per questo credo che ci sia il bisogno, a livello nazionale e locale, di invertire tale tendenza in ogni circostanza, uno o cento morti non fa differenza perché anche una sola morte bianca pesa come un macigno sul nostro sistema Paese e sulle coscienze di tutti0».

    Dall’ultima indagine dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre si apprende che l’emergenza nel primo trimestre cresce con un valore preoccupante (+ 25,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013). Nel mese di marzo infatti sono state 42 le vittime. Erano 51 nei primi due mesi del 2014. Così la tragedia è raddoppiata e nella mappatura del dramma ad emergere sono Lazio, Veneto e Lombardia. Ed è proprio in Veneto e in Lombardia che si conta il maggior numero delle vittime del mese di marzo, rispettivamente con 7 e 6 decessi.

    Intanto la maglia nera per il primo trimestre va al Lazio (11 vittime), seguita dal Veneto (10), dalla Lombardia (9), da Sicilia, Piemonte ed Emilia Romagna (8), Toscana (6), Trentino Alto Adige (5), Marche, Puglia e Campania (4), Friuli Venezia Giulia, Calabria (3), Abruzzo, Sardegna e Liguria (2), Valle D’Aosta, Molise, Basilicata e Umbria (1).
    Questa la geografia del dramma in termini ‘assoluti’ che cambia però quando si osserva l’incidenza della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa. Il risultato peggiore secondo le elaborazioni degli ingegneri dell’Osservatorio mestrino arriva dalla Valle D’Aosta con un’incidenza pari a 18,1 contro una media nazionale di 4,1. Seguita dal Trentino Alto Adige (10,5), dal Molise (10,1) e dalle Marche (6,4).
    Il 34,4 per cento degli incidenti si è verificato nel settore agricolo, il 22,6 per cento nelle costruzioni, l’8,6 per cento nel settore dei trasporti, magazzinaggi e comunicazioni, il 6,5 per cento nel commercio ingrosso/dettaglio e il 5,4 per cento nella produzione e distribuzione/manutenzione di energia elettrica, gas, acqua.
    La prima causa di morte è la caduta dall’alto (31,2 per cento dei casi del primo trimestre 2014), seguita dal ribaltamento di un mezzo/veicolo in movimento (20,4 per cento) e dallo schiacciamento (19,4 per cento).
    Guardando alle classifiche provinciali è Torino ad emergere con il dato peggiore di tutto il Paese con 5 morti bianche in ambiente di lavoro ordinario, seguita da Bolzano, Milano e Roma (4).
    Mentre l’incidenza più alta della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa a livello provinciale viene registrata a Nuoro (37,7).
    Gli stranieri deceduti sul lavoro sono 12 pari al 12,9 per cento del totale. Quarantenni e cinquantenni i lavoratori più coinvolti dal dramma.

    «E’ necessario – continua Patriciello –  fare maggiore attenzione verso il tema degli incidenti sul lavoro e cosiddette ‘malattie professionali’. Esiste una legislazione antinfortunistica nazionale che recepisce le Direttive europee in materia di sicurezza sul lavoro e salute dei lavoratori da rispettare solo tramite l’aumento dei controlli e la formazione degli stessi lavoratori. La legislazione europea viene a volte applicata poco o male. La Commissione  – conclude Patriciello – si assicurerà per questo che le direttive siano oggetto di una reale trasposizione, ricorrendo anche a procedure d’infrazione. Essa ricorda parimenti agli Stati membri, che hanno il dovere di dare attuazione alla legislazione comunitaria e che dispongono di vari metodi come la formazione, l’informazione e il ricorso ad ispettori del lavoro ovvero a misure che prevedano incentivi economici”.

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