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  • «Senza ospedale il paese muore», la protesta in difesa del “Caracciolo” di Agnone finisce su “Avvenire”

    La protesta di piazza contro l’annunciato ridimensionamento dell’ospedale di Agnone approda sulla stampa nazionale. Nei giorni scorsi è stato il quotidiano dei vescovi, “Avvenire“, edito appunto dalla Conferenza episcopale italiana, a rilanciare il tema della salvaguardia del diritto alla salute nelle aree interne e montane, con un articolo a firma del giornalista Igor Traboni, non nuovo ad “incursioni” mediatiche in Alto Molise.

    La “deadline“, la scadenza nella lingua di Albione, indicata da Traboni è ormai imminente: gennaio-febbraio 2026. E forse, sempre a voler usare gli ormai abusati anglicismi, sarebbe meglio utilizzare l’espressione “death line“, cioè la linea della morte.

    Perché di questo si tratta, della morte di un territorio, quello a cavallo tra Molise e Abruzzo, pugnalato alle spalle da chi per ruolo, mandato e stipendio avrebbe invece avuto l’obbligo di mantenere e potenziare l’unico presidio sanitario in area particolarmente disagiata. Invece i commissari nominati per occuparsi di sanità periferica standosene comodamente adagiati in poltrona hanno deciso che il “Caracciolo” di Agnone debba trasformarsi in un ospedale di comunità, definizione che tradotta nella pratica spicciola significa una struttura infermieristica in grado di erogare ben altri servizi sanitari rispetto a quelli canonicamente associati ad un nosocomio vero e proprio.

    Quaranta paesi montani, sempre più spopolati e invecchiati, resteranno senza uno straccio di ospedale, perché dei ragionieri travestiti da commissari così hanno deciso. In barba alla Costituzione repubblicana, la carta meno applicata del mondo, altro che la «più bella», che dice che i diritti, compreso quello alle cure mediche e alla salute, valgono a prescindere da dove si nasce e si vive, a Castelverrino o Campobasso, tanto per fare un esempio. Il quotidiano dei vescovi dà voce alla protesta di don Francesco Martino, già cappellano del “Caracciolo”, prima stipendiato Asrem, poi volontario in quell’ospedale che stanno progressivamente smantellando.

    «Ci sentiamo abbandonati, altro che rilancio delle aree interne. – denuncia il sacerdote al giornalista Traboni – Uno alla volta stiamo perdendo tutti i servizi essenziali. Come fa la gente a rimanere o a tornare?». «Eppure, – va avanti don Martino – le condizioni perché continui ad essere un ospedale di area disagiata ci sono ancora tutte, anzi, si sono aggiunte negli ultimi anni. Come Chiesa cerchiamo di fare il possibile, da sempre. L’allora vescovo Scotti, già nel 2013, prese posizione. Abbiamo organizzato incontro, proposto soluzioni concrete assieme alla Caritas diocesana e alla Pastorale della salute nazionale, ma qui ogni giorno vengono tagliati servizi. Questo dell’ospedale è un altro duro colpo e favorirà la desertificazione del territorio».

    Perché oltre all’aspetto dei servizi sanitari che vengono meno, c’è da considerare l’aspetto occupazionale. Quando iniziò lo smantellamento del “Caracciolo” la comunità locale, oggi chiaramente rassegnata e non più propensa alla lotta sociale, cercò di opporsi. La vicenda viene raccontata ad “Avvenire” da Armando Sammartino, all’epoca responsabile del Comitato Articolo 32. «Presentammo ricorso al Tar, venne accolto e per la prima volta i giudici applicarono la dicitura “ospedale di area particolarmente disagiata”. Dopo arrivarono altri decreti dei vari commissari regionali e ogni volta si trattava di studiarli, di presentare ricorsi, e così cedemmo tutta la materia al Comune, che in effetti così fece, ma ogni volta arrivavano nuovi provvedimenti contro quella decisione del Tar e bisognava ricorrere. Anni passati invano da quella storica vittoria? Forse sì, forse no, perché comunque venne stabilito il principio di area disagiata, ma siamo sempre al punto di partenza. Il novanta per cento dei miei concittadini vive qui senza figli o nipoti, andati a studiare o a lavorare fuori. Qui non ci sono più servizi e purtroppo la sanità segue tutte le altre dinamiche socio-economiche. Eppure dovrebbe accadere il contrario: vi diamo servizi per farvi restare o tornare, ma siccome continuate ad andarvene, allora ve li togliamo. Perfino l’ospedale».

    La chiusura del pezzo, il collega Traboni, la dedica però alla speranza innescata dalla mobilitazione di piazza di una comunità che sembra aver riscoperto, mentre si raschia il fondo del barile, la determinazione di difendere i propri diritti di cittadinanza.

    «C’è stata una grande protesta e sono scesi in piazza gran parte dei 4500 abitanti di Agnone. – scrive su Avvenire – Ma potrebbero non bastare, proprio quel ricorso al Tar». Intanto proprio giorni fa il sindaco Saia, in qualità di responsabile dell’Unione delle Province italiane per le Aree interne, ha incontrato il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Matteo Zuppi, proprio per trattare i temi della difesa dei diritti nelle aree interne del Paese. «Lì dove l’uomo vive deve godere di tutti i diritti costituzionali» ha rimarcato il “capo” dei vescovi d’Italia.

    Francesco Bottone

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