Con 52 voti, in Alto Molise, si diventa sindaco, cioè autorità di pubblica sicurezza. E’ successo a Castelverrino, come è ormai noto, dove tra l’altro in Consiglio comunale siede il padre del sindaco appena eletto. Ma situazioni limite come quella dell’Alto Molise si registrano anche altrove, come ad esempio nel confinante Abruzzo. Montebello sul Sangro, solo per citare l’esempio più eclatante, ha eletto sindaco Nicola Di Fabrizio, con appena 35 voti. Il suo sfidante, si per dire, Ferdinando D’Angelo ne ha presi solo 13 di voti. In totale gli aventi diritto erano 107, ma hanno votato solo 50 persone, pari al 46,73 per cento. Quorum non raggiunto dunque, ma l’elezione è valida perché le liste in campo erano due. A Castelverrino è successo addirittura di peggio, perché gli aventi diritto erano 189, mentre i votanti, cioè coloro che si sono materialmente recati alle urne per votare, sono stati appena 77 pari al 40,74 per cento. L’elezione sarebbe stata nulla e il Comune commissariato. Ma non è che a Montebello o a Castelverrino i cittadini non vogliano andare a votare perché sono tutti anarchici; il fatto è che tra gli aventi diritto vengono conteggiati anche i residenti all’estero, i famosi iscritti all’Aire. Nel nostro ordinamento i cittadini residenti all’estero sono elettori al pari dei cittadini residenti nei piccoli centri montani. Cioè che tu viva 365 giorni all’anno a Castelverrino o in Francia piuttosto che in Belgio o in Argentina, per il legislatore che ha scritto quella norma, un vero fenomeno doveva essere, non c’è alcuna differenza e i molisani emigrati all’estero hanno il diritto di scegliere chi dovrà essere il sindaco a Castelverrino, anche se vivono comodamente a Parigi o a Londra. Una sciocchezza bella e buona, lo capirebbe anche un idiota. Ma è così, la legge questo prevede e come se non bastasse fissa un illogico quorum di validità per le elezioni amministrative nei comuni con popolazione inferiore ai 15mila abitanti. Tutto l’Alto Molise non raggiunge i 15mila abitanti, tanto per dire. Comunque, l’articolo 71, comma 10 del d.lgs. n. 267 del 2000, prescrive che nei comuni con popolazione inferiore a quindicimila abitanti “ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista ed il candidato sindaco collegato, purché abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Qualora non si siano raggiunte tali percentuali la elezione è nulla“. Una sorta di clausola di salvaguardia della democrazia nello spirito della legge, ma che in realtà si traduce in una norma capestro per chi effettivamente è residenti e dimorante nei piccoli centri montani da Ferragosto a Capodanno e viceversa. E visto lo spopolamento galoppante, presto in ogni Comune montano i residenti all’estero saranno la maggioranza, perché in numero maggiore rispetto a chi effettivamente vive sul posto. E’ questo il famoso, anzi famigerato quorum, per aggirare il quale in ogni Comune con un pugno di residenti si presentano le altrettanto famose liste civetta. Troppo spesso sono prosaici espedienti utilizzati dalla Polizia penitenziaria e da altre Forze dell’ordine per godere, da candidati, dei permessi elettorali, ma a volte la lista civetta è una necessità perché la sua presenza permette di aggirare il pericolo quorum. Se l’elezione viene dichiarata nulla in Municipio arriva il commissario prefettizio. Non è detto che questo sia necessariamente un male vista la “qualità” dei sindaci di zona, anzi, ma è quello che i cittadini residenti, sia pure solo per campanilismo, vogliono giustamente evitare. E così le liste civetta diventano una assoluta necessità. Sarebbe molto più semplice e logico abolire il quorum, ma della questione che interessa migliaia di piccolissimi Comuni in tutta Italia, i partiti e l’Anci se ne strafregano.
Francesco Bottone
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