Voglia di Abruzzo, per non morire. Un titolo eloquente quello dedicato 30 anni fa da l’Unità per rimarcare la voglia di secessione dei paesi dell’alto Molise nei confronti della Regione. Un sentimento mai sopito che nel 1992 portò ad un passo dall’indire il referendum popolare di dodici comuni (Agnone, Capracotta, Pescopennataro, San Pietro Avellana, Vastogirardi, Pietrabbondante, Belmonte del Sannio, Poggio Sannita, Carovilli, Sant’Angelo del Pesco, Castel del Giudice, Castelverrino) stufi di subire scelte regionali che penalizzavano solo ed esclusivamente l’intera area al confine tra Molise e Abruzzo. A descrivere l’idea, di fatto mai attuata, fu l’inviato Fabrizio Roncone che tramite la sua penna rilanciò l’iniziativa sposata dall’Aram, Associazione per il rilancio di Agnone e dell’alto Molise, che coinvolgeva amministrazioni e cittadini dalle più disparate connotazioni politiche.
Soggetti, i quali, credevano, come il divorzio dalla Regione Molise, vista come una matrigna, poteva risollevare le sorti di un territorio dal destino segnato. E’ quanto ribadiva al giornalista de l’Unità Enzo Delli Quadri, all’epoca dei fatti direttore generale dei rapporti generali dell’Enea e presidente dell’Aram. “Stiamo assistendo al nostro lento e inarrestabile processo di degrado economico, culturale e sociale – affermava Delli Quadri nel 1992 –. Per lo sviluppo della nostra area geografica non sono previsti finanziamenti. Non c’è spazio per alcuna speranza. Non chiedetevi cosa ci aspetta nei prossimi anni. Noi siamo già tra i morti”. Parole di un’attualità disarmante già trent’anni fa. Proprio così, perché se Agnone nel 1992 contava circa 6.500 abitanti, oggi all’anagrafe ci sono poco più di 4.800 residenti. Un calo vertiginoso dettato da mancanza di programmazione e scelte politiche accelerato da tagli e soppressione a servizi vitali (vedi ospedale) che confermano miseramente quanto ammetteva l’Unità, la quale rimarcava il lento e inesorabile abbandono dei giovani dal territorio. “La gente, appena può, parte, va via, scappa. I giovani decidono di andare a studiare a Roma, Napoli, L’Aquila, Chieti. Qui l’unico diploma utile è quello di emigrante – sottolineava l’Unità -. Non c’è lavoro e, soprattutto, non ci sono prospettive”.
Un grido di allarme che avrebbe voluto risposte concrete, ma che di fatto non sono mai arrivate. Dunque, quel progetto di secessione appariva fornire qualche speranza per un futuro migliore. Il disegno avrebbe voluto nuovo capoluogo Vasto e un’area industriale alla quale annettersi per ottenere ricadute economiche e sociali. Ad immaginare fattibile il progetto anche l’allora primo cittadino di Agnone, il senatore Dc Remo Sammartino che al foglio comunista, dichiarava: “Dal dopoguerra in poi, qui lo sviluppo, quello dovuto agli insediamenti produttivi non c’è stato. E sapete perché? – s’interrogava l’ex parlamentare – perché è stato privilegiato solo l’asse che parte da Termoli e arriva a Venafro, passando per Campobasso, Boiano e Isernia. Insomma, la Regione ci ha sempre sistematicamente esclusi dai grandi progetti”. Inascoltato fu anche lo studio realizzato dalla Cedes (Caritas) che sempre nel 1992 annunciava che nel 2040 questi territori rimarranno disabitati. Un ‘traguardo’ quasi raggiunto come testimoniano gli indicatori riportati dagli ultimi ‘Quaderni della solidarietà’ redatti dalla scuola di formazione all’impegno sociale e politico ‘Paolo Borsellino’ della Caritas diocesana di Trivento.
In estrema sintesi la secessione dal Molise per tornare con l’Abruzzo, ipotizzata 30 anni fa, è stata un’opportunità buttata alle ortiche, che tuttavia, ad un passo dal baratro, sembra tornare in sella nonché l’unica strada percorribile per tentare di invertire marcia…