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  • Zona artigianale Giovanni Paolo II, scoppia lo scandalo dei lotti da restituire

    AGNONE. Lotti Pip dove da anni sarebbero dovute nascere infrastrutture produttive, ma in realtà mai utilizzati per tale scopo. Lotti che andrebbero immediatamente ritirati e messi nuovamente sul mercato. Sotto accusa finisce il Comune e le precedenti amministrazioni, quelle che spadroneggiavano in termini elettoralistici, ma poi quando chiamate a decisioni come questa si sono voltate dall’altra parte. Paura di scontrarsi con forze economiche importanti? O c’è dell’altro?  Scoppia il caso dell’area artigianale ‘Giovanni Paolo II’. Sotto la lente d’ingrandimento finiscono due lotti  assegnati ad altrettanti imprenditori che nell’arco di cinque anni, cioè dalla stipula del contratto di compravendita con il Comune di Agnone, avevano l’obbligo di termonare le infrastrutture.  In totale parliamo di 6.738 metri quadrati di terreno  che se rivenduti frutterebbero alle casse comunali qualcosa come centomila euro. Intanto altri contratti sarebbero in scadenza e, anche in questa circostanza, le opere da realizzare sono ancora in alto mare.

    “La società acquirente del lotto  – si legge nel contratto all’articolo 14 – può utilizzare le aree stesse unicamente per la costruzione delle opere e strutture necessarie al ciclo produttivo e funzionale della propria azienda”. Premessa  doverosa con il nodo cruciale che vede “la società acquirente del lotto – prosegue il documento sottoscritto dalle parti – impegnata a realizzare le opere e gli impianti necessari all’espletamento della propria attività produttiva entro il termine massimo di cinque anni, con l’obbligo di dare inizio ai lavori entro due anni dall’assegnazione”. Contrariamente a quanto detto, il “Comune riacquisterà la piena disponibilità dell’area ed incamererà, a titolo di penale, tutte le somme versate dalla società acquirente”. Tutto riportato nella clausola risolutiva. “Nel caso in cui le opere non siano ultimate – si legge ancora – agibili e funzionali entro il termine di cinque anni, il Comune applicherà le disposizioni che la legge prevede”.

    In estrema sintesi chi non ha ottemperato a tali accordi scritti, primo: deve vedersi ritirare il lotto pagato; secondo: non ha diritto ad alcun rimborso versato e, dulcis in fundo, il Comune è titolato a vendere (nuovamente) l’area.

    Ma in via Verdi lo scripta manent dei latini è andato a farsi benedire.

    Perché ad oggi, nonostante contratti stipulati nel 2001 e 2005 e la mancata realizzazione di opere infrastrutturali, nulla è stato fatto per far valere gli accordi.

    Uno degli imprenditori assegnatari avrebbe motivato la mancata  partenza dei lavori causa un contenzioso con un confinate. Tuttavia da alcune carte dell’ufficio tecnico si evince come il diretto interessato è stato ammonito più volte ad agire. Il 25 febbraio scorso (protocollo 1596/UT), sempre dall’ufficio tecnico è partito il diktat a giunta e  segretario a far rispettare l’articolo 14 delle convenzioni stipulate. Il risultato ottenuto, al momento di andare in stampa,  è quello di un silenzio assordante. Né il sindaco né il segretario hanno ritenuto opportuno replicare.  Il tutto mentre i dettagli dell’intera vicenda sono finiti nelle stanze della Procura della Repubblica di Isernia e alla Corte dei Conti a seguito di un esposto firmato da un imprenditore locale interessato ad acquisire uno di quei lotti.   

    Il consigliere di minoranza al Comune di Agnone, Lorenzo Marcovecchio del gruppo “Agnone Rinasce” in una interrogazione (datata 22 marzo, ndr) ha chiesto al primo cittadino delucidazioni.  Nell’interrogazione, inoltre,  l’esponente di opposizione ha sollevato un caso  analogo in merito ad un cittadino che si è visto revocare un lotto cimiteriale per non aver realizzato le opere prescritte da contratto.  Il lotto successivamente è stato (ri)messo in vendita.

     Due pesi e due misure, sembrerebbe di capire.

    di Maurizio d’Ottavio 

     

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