Venerina (Labbate, ndr), così la chiamano tutti a Borgo Pio, è una donna che, partendo da una piccola contrada dell’Alto Molise, Villacanale, è riuscita con tenacia, impegno, fantasia e spirito imprenditoriale a costruire un piccolo impero della ristorazione a pochi metri dal centro della cristianità, piazza San Pietro. Un miracolo italiano, costruito con fatica da una generazione che ha saputo ricostruire una nazione. Eppure il suo sorriso e il suo spirito sono sempre quelli della bambina ritratta sul dorso di un somarello in una fotografia esibita orgogliosamente alle pareti di uno dei suoi ristoranti.
“La mia è una famiglia contadina. Io sono nata vicino al fiume Verrino, alle Cupelle. Mio nonno paterno era mezzadro per don Ciccio d’Onofrio, il medico. Mio nonno materno invece aveva un bel podere. Nacqui in casa, come tutti allora e mia madre, che litigava con le cognate che mi chiamavano Rina, mi diede il nome della nonna, mi “rallevò”.”
Tutti contadini.
“Veramente mio nonno materno lavorava poco o niente in campagna. Era un mediatore, si occupava di perorare le cause degli altri negli uffici, in tribunale o quando c’era da scrivere una lettera. Aveva il sogno americano, che poi realizzò emigrando in Canada. Non aveva pace. E’ nato cattolico, vissuto protestante e morto, in Canada, testimone di Geova”
Andava a scuola?
“Fino alla quinta elementare, a Villacanale c’era una classe di una ventina di bambini. Della scuola non ho un buon ricordo. La maestra era una autentica sadica, sempre vestita di nero; ci picchiava con il righello e una volta mi punse con lo spillone che usava per tenere sulla nuca la crocchia di capelli. Mi prese un’arteria e il sangue zampillò dalla mano fino al soffitto. Finite le elementari mi misi al lavoro, facevo la magliaia”.
Poi venne l’amore, molto precoce.
“Avevo 14 anni e il giorno della festa di Santa Lucia stavo seduta sulla soglia di casa. Le scarpe erano nuove, mi facevano male e me le ero tolte. Passarono due giovani, erano di Poggio Sannita ma parlavano con l’accento romano e mi chiesero che gli indicassi la casa di un amico. Io, scalza e con le scarpe in mano, li accompagnai. Quando ci lasciammo, uno dei due si girò, ci guardammo e fu amore a prima vista”.
Vi sposaste subito?
“Col consenso dei genitori ci sposammo dopo un anno, allora era normale sposarsi così presto. Facemmo la festa in casa e la prima notte di nozze la passai da una zia. All’inizio rimasi a Villacanale ma lo raggiunsi a Roma dopo tre anni”.
Cosa faceva uo marito?
“All’epoca per chi veniva dal Molise c’erano due possibilità: o cuoco o garagista. Il garagista però faceva una vita più dura, si arrangiava come poteva, mangiava un panino, dormiva in macchina, mentre il cuoco, almeno, aveva i pasti assicurati, poteva nutrirsi bene e mettere qualcosa da parte. Mio marito era cuoco da Galeassi, a Trastevere. Io continuavo a fare la magliaia”.
E’ stato difficile cambiare ambiente? Vi facevano pesare di essere venuti dalla campagna?
“Fu molto dura all’inizio. A Villacanale anche le pecorelle mi salutavano quando passavano, a Roma stavo sempre chiusa in casa. Però non siamo mai stati discriminati, ci siamo integrati benissimo”.
Pensaste subito di mettervi in proprio?
“Sì, aprimmo un negozio di alimentari ma andò male, così mio marito prese il posto da cuoco all’ospedale San Filippo Neri, che non ha più lasciato fino alla pensione. Era uno stipendio sicuro”.
Lei però non stava con le mani in mano.
“Ho cresciuto due figli maschi e ho continuato a fare la magliaia, sia per una boutique che per la clientela privata. Un telaio costava 400.000 lire. Una fortuna con la quale mio padre aveva comprato a Poggio un bel podere. Ma io lavoravo bene e mi aiutò il fatto che a pianterreno aveva bottega una parrucchiera, molto bella, con un personale niente male. Lei indossava le mie maglie e mi faceva un’ottima pubblicità. Avevamo la clientela in comune”.
Poi il tentativo di metterti in proprio nel campo della ristorazione.
“Guardando dei giovani che stavano stravaccati davanti ai bar mi dissi che dovevo costruire qualcosa per il futuro dei miei figli. Non potevano diventare come loro. Così rilevai una tabaccheria al Borgo Pio, attaccato a piazza San Pietro, e aprii un bar con tavola calda. Da lì è iniziata una nuova avventura”.
Le idee erano tue.
“Le iniziative le ho prese tutte io. Mio marito era costretto. Ogni volta che mi vedeva pensierosa si preoccupava: Che stai tramando – mi chiedeva – che ti passa per la testa? N’ema fà chiù nient!. Era anche un pò geloso, mi amava tanto”.
Era un lavoro impegnativo.
“Sono stata in cassa ed in cucina per 15 anni. Si apriva alle 6 e si chiudeva a tarda notte. All’epoca, parliamo degli anni ‘60, il Borgo non era come adesso, tutto pieno di turisti, ristoranti e bed and breakfast, ma si trattava di un quartiere popolare. Non mancavano gli spacciatori e i malviventi, che spesso godevano della protezione dei borghigiani. Io mi sono sempre fatta rispettare, rispettando tutti. In 40 anni ne ho viste di tutti i colori ma quando mi sono accorta di traffici strani sono intervenuta con decisione. Una volta un tale non voleva pagare le sigarette. Io ripresi il pacchetto e lui cominciò a dare calci al bancone. Lo raffreddai con un getto di caffè freddo. A quelli che alle due di notte pretendevano un ‘Baby’, una mezza porzione di whisky, rispondevo: Io il contagocce non ce l’ho”.
Poi non si è più fermata.
“Adesso abbiamo quattro locali: Mamma Venerina in via Vitelleschi, il Ristorante Venerina a Borgo Pio, l’Osteria Venerina in via del Mascherino ed il Passepartout, una intera palazzina con una corte interna e 1000 metri quadrati per l’accoglienza B&B. Un totale di circa 800 coperti”.
E’ stato difficile ottenere credito per finanziare tante attività?
“All’inizio mi ha aiutato mio padre. Raccoglieva a Villacanale soldi in prestito dai compaesani, garantendo un interesse superiore del 5% di quello bancario. Poi, quando siamo cresciuti, le banche non ci hanno negato più i mutui”.
Che cucina proponete?
“Sebbene operiamo in un contesto turistico facciamo cucina di qualità. Per tutti, che siano turisti, ospiti abituali, borghigiani o Vip. Non facciamo distinzioni, per noi il cliente è sacro. Produciamo in casa la pasta, il pane ed i dolci; i miei figli curano personalmente l’approvvigionamento delle materie prime, carne, pesce, verdure, frutta da fornitori di assoluta fiducia. Sono molto esigente con il personale. Voglio bene a tutti ma se c’è da fare una osservazione o un rimprovero lo faccio, con gentilezza. Mi ha commosso, recentemente, la visita di due camerieri che mi hanno ringraziato per tutto quello che gli ho insegnato”.
Tra la sua clientela ci sono tanti personaggi illustri.
“Tantissimi, ma quello a cui sono più legato è Papa Ratzinger, che da Cardinale era un mio assiduo frequentatore. Una persona sensibile, timida, riservata con cui però sono entrata in grande confidenza, al punto che era l’unico, tra gli alti prelati, che mi salutava abbracciandomi. E’ un Papa che non è stato compreso nel suo grande valore. Ancora oggi il suo segretario Georg mi informa del suo stato di salute e gli mando sempre i miei saluti. Il Cardinale Bertone mi ha onorato celebrando il cinquantennale del mio matrimonio. Tra le tante donne dello spettacolo voglio ricordare Maria Grazia Cucinotta, una cara amica e la compaesana Alessandra Mastronardi, non solo bella ma anche brava nella recitazione, che viene spesso da me con i suoi genitori. Una volta invece ho litigato con Milva che rispose male ad una comitiva di lombardi che l’avevano riconosciuta nel mio ristorante, dicendo che la infastidivano. Io le ricordai che un personaggio pubblico ha dei doveri verso i suoi fans e li deve rispettare sempre”.
Anche il prefetto Enrico Marinelli era di casa.
“Il Prefetto Marinelli era una persona meravigliosa. Avevamo un ottimo rapporto e parlavamo sempre in dialetto. Quando mi è servito un aiuto non si è fatto pregare”.
La pandemia ha colpito la vostra attività? Molti ristoratori hanno chiuso bottega.
“E’ stato un periodo molto difficile ma abbiamo limitato i danni grazie al fatto di non pagare affitto per i locali di proprietà, alla sospensione dei mutui contratti per il Passepartout e alla convenzione con un ministero per la mensa che è rimasta aperta. Abbiamo comunque dovuto saldare le utenze e fronteggiare un enorme calo di utenza. Ma sono ottimista, ci riprenderemo. L’Italia è un paese bellissimo, ricco di sole, cultura e arte, dove si mangia benissimo. Lo posso dire a buona ragione, perché nella mia vita ho viaggiato molto, ho girato in tutto il mondo. In un posto però ci vado solo una volta, perché c’è tanto da vedere e non ci si può fermare. Tornerei solo alle Seychelles”.
E’ sempre legata a Villacanale?
“Certamente. Abbiamo ristrutturato le nostre case sia a Caccavone che a Villacanale, rigorosamente con imprese locali e dal 10 al 24 agosto ogni anno il personale sa che dovrà lavorare di più perché la mia famiglia torna al paese. Lì ci sono le mie radici, anche se ti devo dire che oggi mi sento pienamente romana”.
Venerina, la sua è la storia di un grande successo. Qual è il segreto?
“Non lo so, credo che si tratti di un istinto. Mi ha insegnato tutto la vita”.
di Italo Marinelli