Ottanta anni fa, il 2 agosto 1944, vennero sterminati 2.897 uomini, donne e bambini Rom e Sinti ad Auschwitz-Birkenau. Questa data è stata scelta per commemorare il “Samudaripen”, il genocidio dei Rom e Sinti perpetrato dai nazisti. Durante l’Olocausto, almeno 23.000 Rom e Sinti furono uccisi solo ad Auschwitz, e circa 500.000 in totale nei lager, nei ghetti o alla cattura. In alcuni paesi, oltre l’80% della popolazione Rom e Sinti fu sterminata. In Italia, sotto il regime fascista di Benito Mussolini, circolari del 1940 permisero il rastrellamento e l’internamento dei Rom e Sinti nei campi di concentramento, tra cui quello di Agnone, Boiano e Tossicia (Teramo).
Dopo l’8 settembre 1943, molti furono catturati e deportati. In alto Molise queste persone vennero detenute nel convento di San Bernardino, oggi casa per anziani e dove al suo esterno è affissa una targa che ricorda i nomi dei Rom e Sinti internati. La specificità del dramma dei Rom e Sinti è stata a lungo negata, con nessun sopravvissuto ascoltato al processo di Norimberga. Solo nel 1980, il Parlamento della Germania Occidentale riconobbe ufficialmente la persecuzione razziale dei Rom. Nel 2012, la Germania ha inaugurato un monumento a Berlino dedicato ai 500.000 Rom e Sinti uccisi. Nonostante questo, l’Italia non ha ancora ufficialmente riconosciuto questo genocidio. In occasione dell’80esimo anniversario, è stata presentata una proposta di legge dall’onorevole Devis Dori (Avs) per istituire una Giornata Nazionale in memoria del genocidio dei Rom e Sinti. La proposta, sostenuta dallo storico Andrea Vitello e altre personalità, prevede che enti nazionali e locali e le scuole promuovano attività commemorative. Durante la presentazione della proposta di legge, il regista e scrittore Moni Ovadia ha sottolineato l’importanza del riconoscimento del genocidio dei Rom e Sinti, denunciando che il razzismo e il colonialismo sono ancora presenti nel mondo occidentale. Ovadia ha rimarcato che, a differenza degli ebrei, i Rom e Sinti non hanno ancora ottenuto il riconoscimento del loro martirio, mantenendo un status di alterità che è un grandissimo merito.
Sulla vicenda arriva oggi il commento di Francesco Paolo Tanzj, docente in pensione di Storia e filosofia del liceo Scientifico Giovanni Paolo I che a sul finire degli anni 2000, con i suoi alunni, riportò a galla quanto accadde ad Agnone durante la Seconda guerra mondiale. “In occasione della proposta di legge per far riconoscere – e ricordare – all’Italia il genocidio dei Rom e dei Sinti – esordisce Tanzi – ricordiamo come la città di Agnone, a partire dalle pubblicazioni degli alunni del liceo Scientifico nel campo di concentramento di San Bernardino e poi sulle vicende di Milka Goman, sia stata al centro dell’attenzione nazionale per i tanti eventi realizzati a cura di diverse associazioni, come il progetto Porraimos, l’evento alla Camera dei deputati (2009, ndr), l’organizzazione di Giornate della memoria dedicate ai Rom e Sinti deportati e uccisi nei lager nazisti, programmi televisivi delle principali testate nazionali e articoli giornalistici di spessore. Come la targa in ricordo del Porraimos degli zingari affissa (2016, ndr) sulle mura dell’ex convento di San Bernardino nel corso di una manifestazione di Luigi Manconi con la presenza di numerosi associazioni Rom e Sinti provenienti da tutta Italia. La storia – ha proseguito il docente in pensione – mostra chiaramente che, fin dal medioevo, le popolazioni di maggioranza etnica avevano manifestato un atteggiamento ostile nei confronti degli ebrei e dei Rom. Ma lo sterminio di oltre cinquecentomila Rom e di circa sei milioni di ebrei è un crimine unico nella storia dell’umanità, che si sottrae a ogni equiparazione con altre atrocità e genocidi. Per i Rom questo calvario prosegue soprattutto nel momento in cui a questa popolazione vengono associati opinioni e sentimenti negativi; soltanto in pochi si preoccupano di conoscere meglio la realtà dei rom, perché risulta più comodo rappresentarli attraverso gli stereotipi tramandati dall’ignoranza e suggeriti dalla paura del diverso. Quasi nessuno sa quanti sforzi vengono fatti per l’inclusione di questa popolazione. Conoscendo e comprendendo tutto ciò, potremo allora, tutti insieme, superare ogni residua distanza per renderci finalmente conto di essere tutti figli di un’unica razza, quella umana”, ha concluso Tanzi.