Saper gestire l’imperfezione, individuare le priorità e semplificare, pensare locale e agire globale, saper narrare, from duty to beauty (dal dovere al piacere, ndr), never ever give up (non mollare mai, ndr), restare giovani, copiare, saper cambiare e coraggio più ottimismo uguale fiducia. E’ il decalogo indicato da Oscar Farinetti, ospite, nei giorni scorsi, di Casearia ed elencato nel suo libro “Dieci mosse per affrontare il futuro“. Il volume, una sorta di breviario per imprenditori, è stato presentato all’Italo Argentino.
Subito dopo l’ospite Farinetti ha risposto alle domande dei cronisti. «Non sono un imprenditore di successo, sono un imprenditore che è stato molto fortunato e che ha cercato, nella sua vita, di applicare quelle dieci regole di cui si parla nei libro. Ho sempre cercato di farlo, certo tra mille errori, sbagliando, ma ci ho sempre provato, come mi ha insegnato il mio papà che era comandante partigiano della “Matteotti”. Tra le dieci regole o mosse, credo che la prima sia la più importante: saper gestire le imperfezioni. Non ne siamo più capaci, ma saper gestire le imperfezioni ti permette poi di fare tutto: implica il compromesso, l’armonia con gli altri, significa non fare più guerre.
Nella società attuale ci possono essere difficoltà ad applicare queste “mosse”, ma credo che possano passare, d’altra parte nel corso dei secoli si è sempre andati avanti, si è sempre migliorato. Veniamo da una storia di duemila anni di guerre in Europa, adesso ce ne sono una o due, poca roba, ma è niente rispetto a quello che abbiamo passato. Io sono sostanzialmente ottimista, anzi, senza sostanzialmente, sono ottimista, punto. E credo che vivere da pessimisti sia una stupidaggine, un gesto da masochisti.
Da una recente indagine risulta che il popolo più pessimista e sfiduciato è quello italiano. Al terzo posto c’è il Bangladesh. Allora, cosa ha il Bangladesh meglio di noi? Non sono più ricchi, sono quattordici volte più poveri; non sono belli come noi, perché hanno solo tre beni patrimonio dell’Unesco e noi ne abbiamo sessanta; invece sapete cosa hanno più di noi? Sono più giovani e hanno voglia di crescere e di fare perché hanno la pancia vuota, un po’ come noi negli anni sessanta. Ovviamente un popolo che non ha fiducia poi non fa figli, chi ha fiducia nel futuro mette al mondo dei figli».
Caterina d’Alba