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  • Safinim all’attacco: «Non siamo una “riserva eolica”, zona di sacrificio per interessi altrui»

    Un’iniziativa e una mobilitazione dal basso quella che sta montando in questi giorni per chiedere nuovi provvedimenti politici, a livello nazionale, contro la proliferazione indiscriminata degli impianti di produzione energia eolica. Ben 151 sindaci, alcuni molisani e abruzzesi, chiedono una «nuova norma nazionale che limiti l’installazione degli impianti di produzione di energia eolica» e che le wind farm siano «circoscritte in aree da individuare insieme agli amministratori locali».

    Un tema, quello dell’aggressione eolica, ben noto in Alto Molise e Alto Vastese, dove sono state già installate centinaia di pale, come se questa porzione di territorio debba sobbarcarsi l’onore di produrre l’energia “pulita” per tutto il resto della Penisola. Evidentemente i “signori del vento” hanno trovato gioco facile con gli amministratori locali, perché non è possibile che il vento tiri solo su queste “montagne di mezzo” tra Abruzzo e Molise. In Regione Abruzzo, all’esame della commissione di valutazione impatto ambientale, sono depositati ulteriori progetti di nuovi impianti, che prevedono l’installazione di altri aerogeneratori lungo il crinale dei monti che dividono l’Alto Vastese dall’Alto Molise.

    Sulla delicata questione interviene pubblicamente il “Centro italico Safinim“, l’associazione culturale, di cui fanno parte anche molti agnonesi, che si richiama alla fiera esperienza politico-sociale dei Sanniti. «Nella media e alta Valle del Trigno – spiegano – c’è un silenzio che pesa. Un silenzio fatto di rassegnazione, di abitudine allo scempio, di chi guarda, ma non vede, di chi sente, ma non parla. Un silenzio che rischia di diventare accettazione. I progetti che trasformano il territorio si moltiplicano, ma la risposta è ancora frammentata. Molti si stanno organizzando, ma manca un’azione unitaria e incisiva. Nel frattempo i progetti avanzano. I Servizi essenziali vengono ridotti o addirittura cancellati. – aggiungono dall’associazione culturale, facendo riferimento esplicito alla sanità territoriale sempre più carente – In alcuni paesi non c’è più il medico di base, le scuole chiudono, i trasporti scompaiono. E in alcuni luoghi non ci si lamenta neanche più, quasi come se non ci fosse più nulla da fare. Ma davvero non c’è alternativa? Chi vive ancora qui, chi torna, chi dice di amare il proprio paese, come immagina la propria comunità? Quale futuro vogliamo per questi luoghi? È questa la rigenerazione che vogliamo? Possiamo accettare di vederli trasformati in una “riserva eolica”, in una zona di sacrificio per interessi altrui? Abbiamo bisogno di una voce collettiva, di strategie comuni, di scelte chiare. – chiude il Centro italico Safinim – Il nostro futuro si gioca ora: vogliamo costruire un’alternativa o restare spettatori di un cambiamento imposto? L’isolamento e la frammentazione non possono essere il nostro destino. O si costruisce insieme, o si rischia di scomparire».

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